mercoledì 3 giugno 2009

Elezioni: qualcuno sa che cosa è in gioco in Europa?

Ad una settimana dal voto per eleggere i rappresentanti dell’Italia al parlamento europeo, l’incertezza elettorale rimane alta, segnala Ilvo Diamanti su Repubblica di domenica e secondo alcuni sondaggi la quota degli indecisi si andrebbe ad allargare anziché ridurre, come in genere succede, e si rischia che nonostante il nostro sia uno dei paesi che si distingue in positivo per le percentuali dei votanti rispetto al resto dell’unione, questa volta si raggiunga invece la media europea che è sotto il 50%. Fatto che non dovrebbe stupire, dato che come segnala Diamanti «in questa campagna elettorale non si è mai parlato d’Europa. Manco per sbaglio».

Elemento che riprende anche Giuliano Amato, sempre domenica, questa volta sul Sole 24 ore, quando sottolinea che nonostante i manifesti appesi (ovunque) richiamino a «un campionario ricco di formulazioni quali:” più Europa in Italia”, “in Europa con voi” “perché l’Europa è una cosa seria» non si ritrova poi nella discussione e nei dibattiti elettorali nessun richiamo nemmeno a quegli slogan. Insomma di Europa non si parla mai e al più «quando per amore o per forza si sollecitati a dire qualcosa sull’Europa - scrive Amato - se ne sottolinea l’irrinunciabile importanza per non dispiacere al nostro Presidente della Repubblica il cui europeismo è ben noto, si aggiunge che è un importanza destinata a crescere davanti a temi epocali come l’energia e il cambiamento climatico, si dice che per renderla più democratica ed efficiente serve la ratifica del trattato di Lisbona e quando proprio si è bene informati si conclude che, ove il trattato non venisse ratificato, sarà bene imboccare la strada delle cooperazioni rafforzate».

Fine. Nessun riferimento a quanto è stato fatto nella passata legislatura, seppure «il parlamento europeo indica nel suo sito quelli che chiama i suoi successi negli ultimi cinque anni» scrive ancora Amato, tra cui la politica sui cambiamenti climatici è senza dubbio (almeno dal nostro punto di vista) una delle più meritevoli di attenzioni. L’Europa con l’approvazione del pacchetto 20-20-20 si è data obiettivi unilaterali per svolgere un ruolo di maggior peso nelle relazioni internazionali che porteranno a dicembre a Copenhagen a scrivere il prossimo Kyoto 2, ed ha espresso la disponibilità ad aumentare al 30% la riduzione delle emissioni di Co2 qualora si raggiungesse un accordo che impegna tutti i paesi industrializzati.

Una scelta coraggiosa, si è detto più volte, che avrebbe potuto far sperare all’Europa di svolgere un ruolo leader nelle questioni alla lotta climatica per arrivare ad un negoziato molto più condiviso rispetto a Kyoto e quindi molto più cogente rispetto alla lotta ai cambiamenti climatici.
Così come l’Europa ha assunto un ruolo assolutamente unico nel panorama globalizzato nell’inserire un nuovo regolamento sui prodotti chimici, il Reach, che ha il doppio vantaggio di tutelare la salute dei lavoratori e dei cittadini e di stimolare innovazione e ricerca per sostituire sostanze altamente tossiche con altre (magari prodotte a partire da materie prime rinnovabili anziché di sintesi) a minor impatto sulla salute e sull’ambiente. Ma di questi temi (come di tutto gli altri affrontati dal parlamento europeo) non se ne è parlato durante la scorsa legislatura (quando erano in corso di discussione le rispettive norme) e non se ne parla nei dibattiti elettorali; quindi nulla si sa su quale orientamento e quali posizioni sono state assunte dai singoli parlamentari o dai partiti che li presentano oggi in lista, nulla si sa di quanto si pensa di sviluppare in futuro, una volta eletti. Come se l’Europa fosse altro dalle politiche nazionali. Come se non mancassero pochi mesi al vertice di Copenhagen, dove sarà ancora più necessario avere bene chiaro da che parte indirizzare la barra del timone, per arrivare a definire impegni cogenti ed equi, ora che anche gli Stati Uniti hanno dichiarato la necessità di mettere mano al problema, senza più tentennamenti per frenare il cambiamento climatico e paesi come la Cina hanno già pronti obiettivi e richieste.

«L’europeista convinto e contrariato - conclude Amato - ha tutte le ragioni per continuare ad essere convinto e a contestare ciò che lo contraria», il problema è semmai nel trovare qualcuno disposto ad ascoltarlo, mentre i partiti e i politici nazionali affetti da provincialismo «che infetta anche i mezzi d’informazione e ci condanna poi alle scempiaggini sull’Europa che leggiamo sui manifesti» sono impegnati in altre faccende, molto locali.

E intanto cresce l’indecisione tra gli elettori , soprattutto quelli europeisti convinti e contrariati, che dice bene Diamanti «vorrebbero scomparire per riapparire in tempi migliori».

fonte: greenreport.it

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