“Le politiche di cui hanno parlato fino a questo punto non sono sufficienti”. La stroncatura del segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon colpisce nel segno. Al suo secondo giorno il vertice dei G8 sembra essersi arenato sulle intenzioni senza riuscire a compiere sostanziali passi avanti nel disegno degli obiettivi globali contro la sfida climatica. Di buono c’è che nella giornata di apertura i ‘Grandi’ abbiano concordato per la prima volta l’impegno a ridurre le emissioni del 50% entro il 2050 da aumentare all’80% nelle nazioni industrializzate, anche se con riferimenti temporali piuttosto vaghi (“…rispetto ai livelli degli anni ’90 o più recenti”) e con uno spostamento di scadenze troppo avanti per riflettere l’urgenza d’azione necessaria. Una”ambizione” che non si è riusciti a trasmettere ai leader dei G5, ed in particolare ad India e Cina, arroccate nella loro convinzione che “chi prima ha inquinato prima si impegni” e dunque fuori dall’accordo.
Pechino e Nuova Delhi prima di accettare vincoli e tagli vogliono vedere sul tavolo dei negoziati l’azione dei Paesi sviluppati e adeguati finanziamenti come contributo alle politiche di adattamento intraprese contro i danni del Climate Change. Per il ministro degli Esteri cinese Ma Daoxu, facente le veci del presidente Hu Jintao rientrato nella capitale per la gravissima crisi dello Xinjiang, il proprio Paese “ha ancora una lunga via da percorrere sulla strada dell’industrializzazione, urbanizzazione e modernizzazione”, e le condizioni devono obbligatoriamente “essere differenti”.
L’intesa certa a livello globale è dunque, per ora, solo sull’obiettivo di limitare il riscaldamento globale a due gradi centigradi sopra i livelli preindustriali assumendo così ufficialmente le opinioni scientifiche dell’Iccp (Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico).
La dichiarazione sul clima è passata oggi ai Paesi del MEF (Major Economies Forum), riunitisi sotto la presidenza di Obama, che hanno riconfermato solo il consenso in merito al controllo del ‘termometro terrestre’. A fare da punto di raccordo per i 17 (Austria, Brasile, Canada, Cina, Unione Europea, Francia, Germania, India, Indonesia, Italia, Giappone, Corea del Sud, Messico, Russia, Sudafrica, Gran Bretagna e Stati Uniti) è lo sviluppo di investimenti ‘green’ come sinonimo di recupero economico e ambientale, anche attraverso la sperimentazione di “partnership globali per spingere verso tecnologie a basso contenuto di carbone, amiche del clima’‘.
Recita la Dichiarazione del MEF: “Noi accresceremo decisivamente e coordineremo gli investimenti pubblici nella ricerca, nello sviluppo e nella presentazione di queste tecnologie, con l’idea di raddoppiare questo tipo di investimenti entro il 2015, al contempo riconoscendo l’importanza degli investimenti privati, della partnership pubblico-privata e della cooperazione internazionale, compresi i centri regionali di innovazione”, focalizzando l’attenzione efficienza energetica, il solare, la tecnologia di CCS, veicoli tecnologici e così via. In tal senso il Premier Silvio Berlusconi ha annunciato la creazione di un Istituto globale per la cattura e il sequestro del carbonio con sede in Australia, finanziato annualmente con 100 milioni di dollari e di cui il nostro Paese è fondatore.
Nel cosiddetto “Piano Verde”, dunque, i leader mondiali dichiarano ufficialmente solo di “lavorare insieme da qui alla conferenza Onu sul clima in programma a dicembre a Copenaghen per identificare un obiettivo globale comune di riduzione sostanziale delle emissioni di gas serra entro il 2050”, ma nessun vincolo di riduzione sul breve periodo.
E per Ban tutto ciò non è “abbastanza”.
“Questo è un imperativo politico e morale e una responsabilità storica…per il futuro dell’umanità, anche per il futuro del pianeta Terra” – ha detto il capo dell’Onu – “è molto più importante che si trovi un accordo su quelli che sono gli obiettivi a medio termine” piuttosto che stabilire un impegno nel lontano 2050.
Differente la posizione di Barack Obama, soddisfatto del “consenso storico” ottenuto sul clima e ha garantito che la Nazione si assumerà in pieno le proprie responsabilità sul clima aumentando gli sforzi e i fondi, per raggiungere un’economia pulita entro il 2015. “Per la prima volta abbiamo indicato degli obiettivi concreti di riduzione delle emissioni con il limite dei 2 grandi centigradi entro il 2020. Certo molto resta da fare perché questa è una delle sfide più importanti e gravi di questa generazione”. Dal canto suo il presidente americano si ritiene che il count down verso Copenhagen sia ancora lungo e per ridurre il gap con le economie emergenti sul fronte climatico ci sia ancora tempo a disposizione.
Eppure c’è chi è convinto che stando così le cose Paesi industrializzati ed economie emergenti abbiano ancora una strada irta di ostacoli. A parlare è Kim Bering Becker responsabile internazionale sulle questioni climatiche del Wwf. “Bisogna uscire dalle posizioni contrapposte che vedono Stati emergenti e nazioni industrializzate aspettare gli uni il primo passo degli altri verso la riduzione delle emissioni di CO2 e dovranno essere i Paesi sviluppati, principali responsabili dell’inquinamento, a fare il primo passo per uscire dall’impasse”. “Certo – osserva il Wwf – qualche progresso è stato fatto, ma i leader delle nazioni industrializzate non hanno ancora fatto il passo sostanziale, per fare la differenza: stabilire con chiarezza l’obiettivo di riduzione delle emissioni a medio termine (2020), assieme a seri, inequivocabili impegni finanziari”.
Critico anche Greenpeace per il quale i leader dei Paesi ricchi “hanno fallito”. “Nessuna decisione a proposito di obiettivi vincolanti, e a medio termine, di riduzione delle emissioni di gas serra, e nemmeno un chiaro impegno a investire per combattere cambiamento climatico e deforestazione nei Paesi in via di sviluppo”, spiega l’Associazione secondo cui va data solo agli Otto, e non a India e Cina, la colpa di “aver affossato il negoziato al Mef”.
fonte: rinnovabili.it
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