mercoledì 25 giugno 2008

Dpef, tagli e privatizzazioni e le tasse non diminuiranno

E' un Dpef che si potrebbe definire "prodiano" quello pubblicato sul sito del ministero guidato da Giulio Tremonti. Niente riduzione delle tasse: la pressione fiscale, che nel 2008 si attesterà al 43% del Pil, salirà addirittura (anche se di due decimali al massimo) nei prossimi anni e sarà al 42,9% nel 2013; il pareggio di bilancio ritarda formalmente di un anno, al 2012, ma nel 2011 sarà già stato praticamente raggiunto dato che si prevede un deficit di appena lo 0,1%; l'avanzo primario (ossia entrate meno spese, al netto degli oneri sul debito) sarà del 2,6% quest'anno, per salire al 3,1 nel 2009, al 4 nel 2010, al 4,9 nel 2011 e 12 e al 5% nel 2013.

I risparmi. Per raggiungere questi risultati, dunque, bisognerà spendere meno, data la stabilità del prelievo fiscale. Il pacchetto contenuto nella manovra di finanza pubblica varata dal governo contribuirà, secondo il documento, per circa 5,7 miliardi nel triennio. In arrivo tagli alla sanità per complessivi 3 miliardi a partire dal 2010, con ricette e prescrizioni on line e l'introduzione del fascicolo sanitario elettronico. Per quanto riguarda gli anni 2010 e 2011, l'azione correttiva, si legge nel Documento, "prevede l'avvio di un progetto di digitalizzazione, basato sull'introduzione della prescrizione telematica per prestazioni specialistiche e medicinali e la diffusione delle informazioni sanitarie riguardanti i cittadini". Sarà inoltre istituito un "tavolo permanente per l'armonizzazione delle politiche della sanità elettronica e avrà tra i suoi scopi la realizzazione del fascicolo sanitario elettronico del cittadino, pur nella salvaguardia della sicurezza e della protezione dei dati personali".

Altri risparmi dovrebbero arrivare in conseguenza del piano industriale per la pubblica amministrazione. "Riteniamo possibile, con le misure indicate nel piano triennale, ottenere tra il 2009 e il 2011 miglioramenti quantificabili in un risparmio di circa un punto percentuale l'anno di prodotto interno lordo. Poiché l'importo della spesa corrente è attualmente pari a circa 680 miliardi di euro, un risparmio di tre punti equivale a circa 20 miliardi".

Le privatizzazioni. Poi ci dovrebbero essere introiti da privatizzazioni. Ma dei "pezzi pregiati" non è prevista alcuna vendita. "La quota in possesso del ministero dell'Economia per le società direttamente detenute (Eni, Enel e Finmeccanica) è ormai prossima alla soglia del 30%. Eventuali ulteriori cessioni di pacchetti azionari, che avrebbero l'indubbio beneficio di generare consistenti introiti in tempi relativamente brevi, esporrebbero il paese al rischio di una perdita del controllo su aziende, tra i principali attori a livello internazionale, operanti in settori strategici".

Toccherà invece all'Alitalia, ovviamente (da cui però è difficile aspettarsi un qualche ritorno economico), all'Istituto poligrafico e zecca dello Stato (idem) e poi Poste, Tirrenia e Fincantieri, e qui gli introiti ci sarebbero, e anche non indifferenti. Per Poste e Poligrafico "il processo ripartirà nei prossimi anni e al verificarsi di certe condizioni (superamento di eventuali vincoli normativi, implementazione di piani di ristrutturazione, ecc)". Inoltre "si conferma la volontà di procedere in tempi brevi ad attivare procedure di parziale o totale disimpegno dal capitale di due importanti aziende pubbliche: Fincantieri e Tirrenia".

Per quanto riguarda Fincantieri "il governo ritiene opportuno procedere tempestivamente al collocamento sul mercato di una quota di capitale" e questo per consentire alla società di reperire "anche attraverso un aumento di capitale, adeguate risorse finanziarie per fronteggiare i fabbisogni derivanti dall'attuazione di urgenti e necessarie iniziative industriali di rafforzamento strategico e ammodernamento dei propri cantieri". Inoltre il processo dovrà rafforzare la presenza del gruppo sui mercati internazionali". Per Tirrenia il governo intende invece "attivare tempestivamente, anche in coerenza da quanto previsto con la Finanziaria 2007, un processo di privatizzazione. Ci sarà prima un'analisi della situazione poi "il governo definirà le modalità di cessione".

Pensioni, il "picco" del 2038. La spesa pensionistica in rapporto al Pil sarà stabile dal 2010 al 2023 e toccherà il valore massimo intorno al 2038 toccando quota 15,3% per scendere al 13,9% del Pil nel 2050. Questa previsione a normativa vigente, cioè senza calcolare gli effetti del decreto legge del 18 giugno scorso, "sconta gli effetti della revisione dei coefficienti di trasformazione. Dopo una sostanziale stabilità fra il 2010 e il 2023, per effetto dei provvedimenti normativi di elevamento dei requisiti minimi previsti dalla legge del 2004 (quella dello "scalone", modificata poi dal governo Prodi nel 2007) e l'introduzione pro-quota del sistema di calcolo contributivo, il rapporto spesa/pil riprende a crescere a causa del deterioramento del quadro demografico i cui effetti finanziari risultano in parte limitati anche dall'innalzamento dei requisiti di accesso al pensionamento anticipato disposti dalle predette leggi nel regime misto e contributivo, oltre che in quello retributivo". "La curva - prosegue il documento- raggiunge il massimo di circa il 15,3% attorno al 2038 e si attesta al 13,9% nel 2050, dopo una fase di decrescita. Il miglioramento del rapporto nella parte finale del periodo di previsione è dovuto essenzialmente al passaggio dal sistema di calcolo misto a quello contributivo e alla progressiva eliminazione per morte delle generazioni del baby boom".

La crescita. Il Pil crescerà quest'anno dello 0,5%, l'anno prossimo dello 0,9%, nel 2010 dell'1,2%, 1,3% nel 2011, 1,5% nel 2012 e 1,5% anche nel 2013. In realtà, alcuni ministri-economisti sono più ottimisti dei dati ufficiali. Di recente la congiuntura ha dato segnali più positivi di quanto si potesse sperare solo poche settimane fa, e i dati di quest'anno e del prossimo risulteranno molto probabilmente sottostimati (quelli degli anni successivi hanno di fatto solo un valore formale, perché è impossibile fare previsioni sensate sulla congiuntura a così lunga scadenza). Se ciò accadrà davvero, sarà un bel tonico per la manovra del governo. Come ha detto Tremonti, "se l'economia va bene, va bene anche il bilancio".

Inflazione e salari. L'inflazione programmata viene confermata all'1,7%, nonostante che nello stesso Dpef si precisi che il dato reale sarà tutt'altro. "Tenendo conto che le tensioni sui prezzi degli alimentari sono attese a perdurare, date anche le pressioni che iniziano a emergere per i prodotti confezionati, e che l'andamento del prezzo del petrolio non è atteso invertirsi, l'inflazione nel 2008 può essere stimata intorno al 3,4%. Le previsioni di un rallentamento delle tensioni nella seconda parte dell'anno, sia sugli alimentari che sugli energetici, dovrebbero portare l'inflazione in dicembre intorno al 2,9% rispetto allo stesso mese dell'anno precedente".

Perché, dunque, scrivere quella cifra, che, secondo il Protocollo del '93, è la base per i rinnovi contrattuali e che dunque ha fatto infuriare i sindacati? E' la Banca centrale europea che ce lo impone, ha spiegato nei giorni scorsi Tremonti e ha ripetuto anche oggi Renato Brunetta. Nel documento si specifica: "Si ritiene opportuno confermare l'1,7% per il 2008 e l'1,5% negli anni successivi, perché gli accordi tra governo e parti sociali sulla politica dei redditi non prevedevano il recupero nei contratti dell'inflazione dovuta agli aumenti degli input importati". E nel 2008 il rialzo dell'inflazione "sarà in buona parte l'effetto di fenomeni esogeni, quali le tensioni sui prezzi dei prodotti energetici e il loro impatto sui prodotti alimentari. La natura di 'inflazione importatà del fenomeno e i continui richiami della bce a non generare 'second round effects' alimentando la dinamica salariale, suggeriscono di mantenere il tasso programmato per il 2008 all'1,7%, adottando misure perequative per alleviare l'impatto sui redditi più bassi".

fonte: repubblica.it

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