martedì 24 giugno 2008

Il pane costa troppo. Crollo dei consumi

Stavolta non è colpa degli americani e dei loro fast food.
Se gli italiani mangiano meno «mediterraneo» è colpa dei prezzi. Frutta, verdura, olio, pasta. Tutto costa troppo. E il pane? È diventato quasi un prodotto di lusso. Fino a dieci anni fa era impossibile addirittura pensarlo. La pagnotta, nelle sue varie forme e sapori, è sempre stata presente sulle tavole degli italiani, fresca e croccante, di giornata. Ma dal 2000 ad oggi la discesa del consumo del pane è stata vertiginosa e inarrestabile e con il meno 5,5% dei primi tre mesi del 2008 si è toccato il minimo storico. Le abitudini dei giovani e le diete spiegano solo in piccola parte il calo dei consumi che trova il suo motivo principale nell'aumento del prezzo.
L'Istat dice che negli ultimi venti anni il costo del pane per il consumatore è aumentato costantemente. Ma limitiamoci pure agli ultimi due. Più 4 per cento nel 2006 e più 13,3 per cento nel 2007. Solo a maggio 2008 è salito di un altro 0,7 per cento.
Rovescio della medaglia: quanto di meno comprano gli italiani? L'allarme arriva direttamente da Cia (Confederazione italiana coltivatori) e Coldiretti, su dati Ismea. «Nel primo trimestre del 2008 c'è stato un altro calo degli acquisti di pane del 5,5 per cento rispetto allo stesso periodo dello scorso anno — dice il presidente della Cia Giuseppe Politi —. Per il pane, ma anche per la pasta, il crollo dei consumi si protrae da anni».
A questo punto, incalza la Coldiretti, «serve una ricomposizione della filiera poiché i troppi passaggi e le inefficienze portano i prezzi alle stelle e danneggiano le imprese agricole due volte perché riducono i margini e favoriscono il calo dei consumi».
Ragioniamo sul pane.
Va bene la crisi mondiale, le mutazioni climatiche, ma la continua ascesa del prezzo nonostante le quotazioni alla borsa di Chicago siano le stesse oggi rispetto all'inizio dell'anno, mentre la rosetta continua a salire, vuol dire che c'è qualcosa che non va. Naturalmente i panificatori italiani non ci stanno a prendersi la colpa e a essere considerati speculatori.
Il presidente della Federazione (Fippa) Edvino Jerian, è agguerrito: «L'aumento del prezzo del pane è dolorosamente indiscutibile, un fatto che non fa contenti i consumatori ma che non rende felici neppure noi panificatori che già scontiamo la crisi del grano. Ma lo sapete che il grano tenero è aumentato nell'ultimo anno del 70 per cento? E il grano duro addirittura del 120 per cento?».
E continua: «Una parte di fatturato se la becca la grande distribuzione dove non è mica detto che il prezzo sia meno caro che dal panettiere. Chi denuncia ricarichi esorbitanti, anche del 1000 per cento, mente e soprattutto finge di dimenticare che si tratta di un processo produttivo e non puramente commerciale come avviene per la frutta e la verdura. Noi compriamo farina, non grano, che quindi ha già il suo ricarico, e poi facciamo il pane. Sul processo di produzione il lavoro influisce per il 45 per cento, 25 per cento le materie prime, la farina incide per il 15-18 per cento, poi c'è l'ammortamento impianti, i costi energetici, i costi fiscali, tributari».
La Coldiretti però dice che negli ultimi 20 anni il pane costa 419 volte di più. Non è vero? «Certo che è aumentato — risponde Jerian — ma la cifra mi pare enorme. E la Coldiretti dimentica di dire che negli anni 80 il pane era venduto ad un prezzo calmierato. Poi dal '92 c'è stata la liberalizzazione. Che i costi di filiera in Italia siano troppo alti è vero, ma noi abbiamo un processo di lavorazione complesso, risentiamo del prezzo del grano, della crisi mondiale dei mercati, anche di quella energetica ». Se il presidente della Fippa non nega l'aumento dei prezzi, sebbene lo ridimensioni, respinge l'idea di un calo dei consumi. Nonostante l'Istat. «Il calo è solo apparente — dice —. Diminuisce il pane che arriva sulla tavola ma molti italiani a pranzo non mangiano a casa e spesso mangiano il panino, o la focaccia. Il consumo di pane, quindi, non s'è fermato. E con due, tre euro pranzi in economia ».
Ma è vero che il costo della farina pesa per il 15-18 per cento sul prezzo finale del pane?
Alla commissione europea avvertono che il grano tenero, prima ancora che diventi farina, incide appena per il 5 per cento. La Coldiretti è disposta ad ammettere un 8-10 per cento, considerando non il grano ma direttamente il sacco di farina. Ma non di più.
«Noi coltivatori — argomenta Lorenzo Bazzana, responsabile economico della Coldiretti — vendiamo frumento, non farina. Pensate un po' quanto guadagniamo. Per i panificatori sono altre le voci che pesano di più, la smettano di dire che il pane costa perché il frumento è aumentato».
Eppure il prezzo del grano è davvero cresciuto. La faccenda, gravissima per i Paesi del terzo mondo, è sotto gli occhi di tutti. «Sì — ammette Bazzana —, dopo decenni in cui è rimasto fermo, per una serie di fattori internazionali è cominciato ad aumentare dal maggio 2007. Se parliamo di grano tenero, quello che serve per fare il pane, dai 130 euro a tonnellata è salito fino ai 290 euro a tonnellata tra gennaio e marzo 2008. Poi però è ridisceso, tra aprile e maggio: ora siamo attorno ai 220 euro a tonnellata. Ma il prezzo del pane non è diminuito, cresce ancora. E poi il prezzo del pane varia in maniera forte da città a città. Tra Milano e Roma c'è 1 euro e 40 in media di differenza. Non sarà mica colpa del prezzo del frumento pure questo».
I consumatori sono sul piede di guerra: «L'ho sempre sostenuto che l'aumento del grano non giustifica l'impennata del costo del pane — dice il presidente della Federconsumatori Rosario Trefiletti —. È un anno che diciamo: attenti, gli aumenti sono immotivati. In Puglia abbiamo denunciato all'Antitrust alcuni panificatori che facevano cartello e proprio pochi giorni fa l'Antitrust è intervenuta anche a Roma per bloccare accordi scorretti tra panettieri. Con il pane non si scherza»

fonte: corriere.it

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