venerdì 26 febbraio 2010

Corsa contro il tempo sul Po Il fiume ferito dall'onda nera

"L'hanno fatto apposta a perder tempo, così c'è da spendere un bel pacco di milioni. Bastava bloccare le fogne col cemento, lassù a Villasanta, bastava. Cemento rapido, ostia. Adesso, ciao". Il padrone della trattoria Po ("gnocco fritto e culatello lunedì mercoledì e sabato") è un omino magro, che saltella per l'incazzatura come il cabarettista Cevoli. Pattuglie di pensionati armati di bicicletta sorvegliano dal piazzale. Il fiume puzza e luccica di olio. I vecchi hanno sempre da ridire, si sa. Ma stavolta hanno ragione: s'è perso troppo tempo. Ora si corre dietro la chiazza oleosa, lunga forse 40 chilometri, cercando di fermarla. Spugnandola coi salsicciotti galleggianti. Deviandola con le paratie di plastica.

Eppure Guido Bertolaso, dopo aver sorvolato il fiume, quando arriva in prefettura a Piacenza si mostra ottimista: "Ce la faremo, state tranquilli. Credo che non sia una situazione irreparabile. Credo che nelle prossime 24 ore la gran parte di questa massa oleosa sarà recuperata. Poi, seguendo il corso del fiume, prima che arrivi a Ferrara e prima che arrivi al Delta, saremo in grado di recuperare tutto il resto". Tranquilli: è una parola. Bertolaso accenna vagamente al fatto che, nelle prime ore, la situazione è stata in mano agli enti locali. Tradotto in italiano, è quel che dicono i vecchi col berretto a visiera davanti alla trattoria: s'è perso un sacco di tempo. Più su, al ponte provvisorio di Piacenza, accanto a quello tirato giù dalla piena un anno fa, c'è un livornese indaffaratissimo: "Noo, me lo devi portà, amore. Non lo devi lascià lì, ciccio". Riccardo Figaro, si chiama, della ditta Labromare specializzata in bonifiche ambientali: "Cerchiamo di mettere degli sbarramenti. A monte c'è un continuo rilascio di materiale inquinante". Vuol dire che dal Lambro continua a scendere schifezza in Po, che lo sbarramento della centrale di San Zenone non ce l'ha fatta, e anche che gli stessi tentativi di fermare la massa oleosa non fermano granché. Qui lavorano militari del genio di Piacenza, funzionari della Protezione civile emiliana, ditte di spurghi, vigili urbani. Un grande andirivieni, guardando la corrente che fila via veloce.

Per ora (sono le tre del pomeriggio) hanno solo tirato un cordone di "panne" galleggianti a proteggere la riva. Sono salsicciotti di plastica spugnosa, che assorbono l'olio. Per piazzare le "panne" rigide, invece, sono guai. La corrente è forte, un primo tentativo è fallito. Ora ci riprovano, studiando dove ancorare i cavi d'acciaio. "Fare una barriera da sponda a sponda è impossibile, il fiume se la porterebbe via". I pannelli rossi e neri sono pronti. "Si mettono in fila - spiega Figaro - E poi si adagiano sull'acqua degli skimmer, che sono dei separatori di olio, e si aspira". Passa il tempo, il fiume corre, la chiazza scende a valle. Ancora ci si deve mettere d'accordo su quanto gasolio (o nafta, oppure olio combustibile, oppure residui di scarto) sia finito nel Lambro. C'è chi dice 8 mila metri cubi. Chi 3.500. Antonio Monni, della Protezione civile emiliana, dice: "Dei circa 5 mila metri cubi di materiale ne abbiamo già recuperati mille". E si dovrà anche trovare un posto dove stoccarli, fra l'altro, sono sostanze a smaltimento controllatissimo. Anche se, pure stavolta, Bertolaso comunica che si dovrà fare "in deroga". E da Roma il ministro Prestigiacomo parla di "attentato alla salute dei cittadini e all'ambiente". Un "atto doloso" per il quale già lunedì il Consiglio dei Ministri potrebbe decidere lo stato di emergenza "stanziando somme ingenti". Da parte sua la procura indaga sul sottobosco degli appalti. Nella zona dalla quale qualcuno ha fatto fuoriuscire il petrolio dovrebbero infatti essere realizzati quasi 200mila metri quadri di superfici, piste ciclabili ed edifici eco-sostenibili.

Per il momento si lotta contro l'onda nera. Lo sbarramento più serio è poco più giù di San Nazzaro, a Isola Serafini dove c'è la grande centrale idroelettrica. La gran parte della portata del Po finisce alla diga, e un braccio minore sul lato destro finisce in una conca. Nella notte i militari del 2° Genio pontieri di Piacenza hanno fatto quel che potevano: "Lavoriamo da ieri pomeriggio - dice il tenente Pace - E dopo qualche tentativo siamo riusciti a tirare una barriera di panne da una riva all'altra". La barriera di spugne, ormai nere per l'olio che hanno assorbito, è all'altezza del ponte di San Nazzaro. I genieri sono una quarantina, hanno lavorato fino a mezzanotte alla luce delle fotoelettriche. Ma quando la prima barriera di spugne è stata posata, l'onda grossa dell'olio era arrivata da tempo. Spessa anche 15 centimetri, una massa enorme. E qui sulle rive c'è chi bestemmia contro l'Enel, accusata di aver chiuso solo con grande ritardo le condotte superficiali della diga.

Ora l'Enel diffonde comunicati sulla task force di tecnici che ha impegnato nei soccorsi. Di sicuro c'è che, dal ponte fino alla diga di Isola Serafini, il fiume fa veramente pena. C'è una puzza tremenda, contro la riva ondeggia una poltiglia nera unta. C'è una fila di casotti e di barche da pesca, quelle col fondo piatto. Una delle barche si chiama Va Gina, ma il senso dell'umorismo dei fiumaroli oggi è spento: "Ce l'hanno assassinato, il fiume - dice un vecchio col berrettino Grana Padano, che è venuto a controllare la sua rete a bilancia - E chissà quanto tempo ci metteremo per tornare a pescare. E me, poi, di tempo non ne avanza tanto". I genieri con le loro motobarche stanno trainando in mezzo al fiume una paratia rigida gialla: "Abbiamo visto che la porcheria è tutta verso questa riva - spiega Morandi della Protezione civile di Ferrara - Così proviamo a deviarla verso il braccio morto, quello a destra che porta alla conca". Ormai sta venendo buio, la corsa della porcheria continua, e l'inseguimento tardivo pure. "Domani vedremo dove è arrivata"

fonte: repubblica.it

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