Il rincorrersi delle Agenzie su un problema che sta per diventare esplosivo e che in periodi ancora non sospetti abbiamo da queste pagine definito ”gravissimo e alla base di qualsiasi azione seria di ricostruzione”, credo imponga alcune riflessioni.
La decantata efficienza del dopo terremoto, intesa come indubbia capacità dello Stato a fornire soluzioni dignitose per il ricovero dei senzatetto, non è stata evidentemente affiancata da una contemporanea azione di ricostruzione. Anzi possiamo dire, senza timore di retorica, che la ricostruzione dell’Aquila, dopo undici mesi, non è ancora neanche iniziata. E questo lo si deduce da una realtà inconfutabile e sotto gli occhi di tutti: i 3 milioni di metri cubi di macerie giacciono quasi integralmente ancora a terra in un’icona drammatica che ha bloccato il tempo e la percezione di quel luogo a quel maledetto 6 aprile.
Ma se non si libera il territorio come potrebbe iniziare il già complesso processo di ricostruzione? Questa è una domanda ovvia come ovvie sono le crescenti proteste degli aquilani che iniziano a rendersi conto della situazione, con la disperazione propria di chi vive in prima persona un dramma come un terremoto. Ma allora di chi è la colpa? Su chi intervenire per far sbloccare questa paradossale situazione? Entrare nel merito del rimpallamento delle responsabilità, tra rimozione e reperimento delle aree, tra Protezione Civile, Regione, Provincia e Comune, diventa un viaggio virtuale nella burocratilandia doc, tipica del nostro Bel Paese. Ma il problema, a questo punto, non è capire chi deve agire, ma come. Manca un progetto unitario che parta dalla soluzione della rimozione e smaltimento delle macerie fino alle regole certe della ricostruzione. Mancano idee, soluzioni, obiettivi che possano tracciare un percorso preciso da intraprendere immediatamente. La paura dei decisori di sbagliare o di esporsi, problema comprensibile in una situazione complessa come questa, ma non giustificabile, sta incartando ulteriormente questa città in uno stallo che ha dell’inverosimile. Nel frattempo sono stati a più riprese lanciati dal prefetto dell’Aquila Franco Gabrielli gli allarmi sul pericolo di infiltrazioni mafiose sul business milionario del trattamento delle macerie.
Insomma le macerie appaiono drammaticamente il problema della ricostruzione.
Ma se invece considerassimo le macerie, anziché un problema irrisolvibile, un’opportunità per la rinascita dal terremoto? E dire che indicazioni tecniche ben circostanziate sono uscite fuori dal seminario da noi organizzato, insieme al Comune di L’Aquila, che si è tenuto nel capoluogo abruzzese nell’ormai lontano 1 dicembre scorso “L’Aquila rinasce dalle macerie. Riciclo e rinnovabili: la ricostruzione come opportunità ambientale”. All’incontro hanno parteciparono tutte le realtà impegnate nella fase della ricostruzione: amministratori e politici locali, rappresentanti del Parlamento, Protezione Civile e Croce Rossa Italiana.
La strada indicata nel corso di quell’incontro, in cui sono intervenuti docenti di numerose università italiane oltre a tecnici che hanno maturato esperienze nell’ambito di altri terremoti del nostro paese, è quella del riciclo delle macerie come alternativa alla discarica.
Sono infatti già disponibili tecnologie che consentono di recuperare porzioni notevoli di detriti edilizi e di utilizzarli, attraverso specifiche lavorazioni, per contribuire, con importanti percentuali, alla costruzione di infrastrutture ed edifici. Questo approccio presenta evidenti potenzialità non solo ambientali, risparmio energetico e risparmio della risorsa di estrazione in cava, ma anche di ordine territoriale, difficoltà a reperire discariche nel territorio, di ordine economico, risparmio di circa il 50% rispetto al corrispettivo materiale estratto in cava, e, come accennato, di ordine pubblico: allarme infiltrazioni malavitose nel settore degli smaltimenti.
Il riciclo delle macerie, infatti, può avere interessanti ricadute sia perché riduce il fabbisogno di materie prime, sia perché, nel processo di riciclo, il bilancio energetico risulta particolarmente conveniente rispetto a quello di estrazione da cava. La fase di produzione dell’aggregato non presenta grandi difformità rispetto a quello necessario, tramite frantumazione, per l’ottenimento di inerti naturali da blocchi lapidei provenienti da attività estrattiva. Inoltre offre un notevole risparmio economico ed un beneficio ambientale, a parità di caratteristiche prestazionali del materiale. Operando un confronto, in termini di energia impiegata (energia inglobata) tra le lavorazioni necessarie al processo di recupero e riciclo del rifiuto edile e quelle legate alla produzione dello stesso materiale proveniente da attività estrattiva, è possibile dedurre che il consumo energetico necessario al riciclo è pari a circa un quarto rispetto a quello del prodotto estratto in cava.
E come più volte ho già affermato, sul territorio aquilano si trova un enorme giacimento di materiali edili a cielo aperto, giacimento situato esattamente nel luogo dove avverrà un imponente processo di ricostruzione. Questa realtà, unitamente alla maturità tecnologica del settore, ci porta ad affermare che siamo in presenza del potenziale mercato dell’usato edile più grande d’Europa.
Su queste basi, inoltre, è stata redatta la Carta per la ricostruzione di L’Aquila, firmata dal Sindaco e dalla Presidente della Provincia di L’Aquila e discussa nell’ambito della COP15 di Copenaghen, dove è stata portata all’assemblea plenaria dall’on. Salvatore Margiotta, vice-presidente della Commissione Ambiente alla Camera.
Un dramma già da tempo annunciato, quindi, anche da voci ben più autorevoli di quella di chi scrive e sta rapidamente degenerando in situazioni irreversibili. Situazioni che potrebbero finalmente generare la spinta a vincere l’attuale collasso decisionale.
fonte: rinnovabili.it
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