mercoledì 22 aprile 2009

Troppe specie esotiche in Europa un database salva gli ecosistemi

IL laghetto di Villa Doria Pamphilj, a Roma, è pieno di tartarughe nordamericane, abili a nuotare e formidabili predatrici. Tanto da creare problemi agli altri animali del parco. Rappresentano solo una delle 10.000 specie alloctone esotiche che oggi vivono in Europa, lontane dal loro habitat e trapiantate in uno completamente diverso. Oltre 1000 di queste specie sono diventate pericolose per l'ambiente. Non si parla solo di animali ma anche di piante. Ad esempio, l'ambrosia artemisiifolia, originaria del Nordamerica: possiede il più terribile di tutti i pollini ed è la causa principale di molte allergie.

L'Unione europea ha commissionato ad alcuni esperti uno studio, il primo del genere, per fare il punto della situazione su queste specie. I dati sono stati raccolti nel corso del progetto DAISIE (Delivering Alien Invasive Species in Europe), finanziato dalla Ue nel 2005, e pubblicati online sulla rivista Frontiers of Ecology and Environment, della Società americana di ecologia. L'articolo descrive le conseguenze dell'impatto delle specie invasive sugli ecosistemi, anche dal punto di vista economico. "Sono informazioni mai raccolte prima - spiega Piero Genovesi dell'ISPRA, presidente del gruppo specialistico dell'IUCN sulle specie alloctone invasive - per la prima volta sono stati catalogati tutti gli organismi che rientrano in questa categoria. E l'Italia è uno dei Paesi che causano più impatti a livello continentale".

Per tenere sotto controllo i danni provocati dagli animali, il Regno Unito spende ad esempio circa 2,8 miliardi di euro l'anno, e 150 milioni per contenere le 30 più comuni piante infestanti. Per non parlare di quelle acquatiche, come il giacinto d'acqua, originario dell'Amazzonia - per il quale si spendono in media 3,4 milioni di euro l'anno - o di alcuni mammiferi come la nutria, che costa all'Italia circa 4 milioni l'anno tra argini di fiume indeboliti e flora divorata. Il "castorino" dell'America Latina è stato importato in Europa diversi anni fa per sfruttarne la pelliccia poi, falliti gli allevamenti, molti individui sono stati liberati per evitare i costi di smaltimento delle carcasse. Nel 2000 la popolazione europea di nutrie è stata stimata in 250 milioni di esemplari, viste la rapidità di riproduzione e l'assenza di predatori. Lo studio ipotizza che i costi di contenimento arriveranno presto a superare i 12 milioni di euro l'anno.

Le specie alloctone possono modificare profondamente gli ecosistemi, alterando le catene alimentari e danneggiando i servizi per l'uomo. Spiega la prima autrice dello studio, Montserrat Vilà della Stazione Biologica di Donana di Siviglia, che "queste modifiche possono essere irreversibili e gravi quanto i cambiamenti indotti dai mutamenti climatici o dall'inquinamento. L'impatto di molti invasori passa inosservato, ma le nostre vite dipendono profondamente dai servizi forniti dagli ecosistemi".

I cosiddetti servizi ecosistemici sono stati suddivisi in quattro categorie: supporto a risorse degli ecosistemi (i cicli dell'acqua o dell'energia), produzione di beni (ad esempio l'impollinazione), regolazione dei processi ecosistemici (ciclo delle acque di filtrazione) e servizi culturali (attività ricreative e valore estetico degli ambienti naturali).

Le specie più dannose sono i vertebrati terrestri. "L'introduzione di predatori - spiega ancora Genovesi - come il visone americano o il procione determina impatti piuttosto pesanti sulle popolazioni di molte specie di uccelli, mammiferi, rettili e anfibi". Ragni e insetti non danno gli stessi problemi, ma nel caso della zanzara tigre, che con il suo parassita è portatrice della terribile "febbre spaccaossa" (o da virus Chikungunya), i danni per l'uomo sono evidenti e di difficile soluzione. Originaria del sud-est asiatico, questa zanzara ha sfruttato i trasporti commerciali umani per diffondersi, e oggi infesta quasi tutte le città portuali del vecchio continente.

La soluzione proposta dal team di esperti autori della ricerca è quella di potenziare i database sviluppati anche in altre regioni del mondo e far dialogare tra loro i Paesi cercando una soluzione comune. Impresa non facile ma il primo passo, quello della focalizzazione del problema nella sua globalità, è stato fatto.

fonte: repubblica.it

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