martedì 21 aprile 2009

Stile di vita e gas serra

I gas serra sono dei gas normalmente presenti in atmosfera che per le loro particolari proprietà molecolari assorbono e riemettono la radiazione infrarossa. Si potrebbe pensare a questi gas come ad una “cappa sospesa” che trattiene parte dell’irradiazione solare della superficie della terra, contribuendo così ad innalzarne la temperatura. L’interferenza dei gas serra alla dissipazione della radiazione infrarossa è fondamentale per poter scaldare l’atmosfera, attraverso un particolare equilibrio che è alla base delle nostre condizioni naturali di vita. Tuttavia se la concentrazione di questi importanti gas aumenta, tale equilibrio è messo in difficoltà, e con lui tutti gli stati e le attività umane che ne discendono.
I principali gas serra presenti nell’atmosfera terrestre sono: vapore acqueo, biossido di carbonio, metano, ozono e ossido di diazoto. Il forte sviluppo industriale ed economico degli ultimi decenni ha portato ad un innalzamento nella concentrazione di questi gas nell’atmosfera. In particolare, ad essere oramai presenza fissa sul banco degli imputati è il biossido di carbonio, meglio noto come anidride carbonica.
L’aumento delle emissioni di anidride carbonica è infatti fortemente legato al nostro stile di vita e alle scelte fatte negli anni passati senza tenere adeguatamente conto dell’impatto ambientale. La scarsa efficienza nell’utilizzo dei combustibili fossili e la deforestazione incontrollata ne sono sicuramente le cause principali. Ed è proprio su questi punti che oggi si vuole insistere per poter controllare le emissioni nocive e cercare quindi di salvaguardare il fragile equilibrio che tanto ci è necessario.
Nel 2002 l’Unione Europea ha ratificato il Protocollo di Kyoto, impegnandosi a ridurre le emissioni di anidride carbonica rispetto ai livelli del 1990 per il periodo 2008-2012. Per poter rispettare tale impegno, sono stati istituiti dei meccanismi di flessibilità a livello internazionale, tra questi l’Emission Trading, che è regolamentato dalla Direttiva Europea 2003/87/CE. Si definisce in questo modo un meccanismo di scambio attraverso un sistema “cap and trade”, ovvero attraverso dei piani di allocazione nazionale si fissano dei tetti limite alle emissioni di tutti gli impianti industriali sensibili interessati da particolari processi di combustione. Al termine di ogni anno, le emissioni effettivamente prodotte durante la normale attività dell’impianto, devono concordare con quelle autorizzate. Per assicurare il pareggio, si possono comprare le quote mancanti rispetto a quelle possedute, mediante accordi bilaterali o mercati organizzati.
A dare un’altra importante accelerata al progetto di riduzione delle emissioni di anidride carbonica è stato l’accordo sul Pacchetto Clima, per cui gli stati dell’Unione Europea si impegnano a ridurre le proprie emissioni del 20% entro il 2020, sempre mantenendo come riferimento i livelli del 1990.
La scommessa è dunque aperta ed è sempre più importante vincerla: diminuire le emissioni di anidride carbonica per poter sconfiggere l’effetto serra, e combattere le disastrose conseguenze che il rapido innalzamento della temperatura ha sul nostro ecosistema e sulle nostre condizioni di vita. Uno dei settori più caldi è quello dell’energia elettrica. Si aprono così due fronti: bisogna rivalutare profondamente sia come si produce l’energia, sia come la si utilizza. Da un lato infatti, ciascuno di noi nella sua vita quotidiana può scegliere strumenti e metodologie per mettere in atto comportamenti virtuosi dal punto di vista ambientale, a risparmio energetico e basso inquinamento. Dall’altro lato, chi investe nel campo energetico e dispone di capitali da utilizzare, può scegliere di impiegarli per creare opportunità verdi, sfruttando le risorse rinnovabili e contribuendo così a ridurre le emissioni nocive.
Uno studio di qualche anno fa condotto da Greenpeace, metteva a confronto i valori di CO2 emessi per produrre 1 kWh di energia elettrica con le diverse tecnologie disponibili. Si andava dai 900 grammi degli impianti di incenerimento da rifiuti solidi urbani e degli impianti a carbone, ai 700 degli impianti a olio combustibile, ai 500 degli impianti termoelettrici, fino ai 370 grammi degli impianti a ciclo combinato. E le fonti rinnovabili? Spesso si tende a dire che le risorse rinnovabili hanno impatto ambientale nullo. In realtà qualsiasi intervento dell’uomo sull’ambiente, ha su questo una ricaduta, in quanto pur sfruttando una risorsa pulita, si usano comunque dei macchinari, pensati e prodotti appositamente per quel fine. Ecco perché è fondamentale valutare il ciclo di vita intero del progetto, attraverso una metodologia definita LCA “life-cycle assessment”, che vada a mettere in luce gli effetti sull’ambiente circostante. Uno studio è stato recentemente condotto in questo senso, e ha rilevato come l’energia eolica sia tra le possibili fonti oggi a disposizione, quella con il minor impatto di CO2. L’energia eolica ha dunque il potenziale di portare ad una notevole riduzione delle emissioni di anidride carbonica dal settore della produzione di energia elettrica.
L’Unione Europea ha una grande sfida davanti a sé e ha bisogno di impegno, coraggio e alleati efficaci per portarla a compimento. A fine 2008 la capacità eolica installata era tale da poter produrre in un anno 142 TWh di energia elettrica, riuscendo così ad evitare le emissioni di più di 100 milioni di tonnellate di CO2. Secondo gli scenari EWEA, gli investimenti nell’energia eolica da ora al 2030 potrebbero portare ad un risparmio nei costi di CO2 dai 100 ai 500 miliardi di euro. Forse un importante alleato è già stato trovato.

fonte: rinnovabili.it

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