venerdì 17 aprile 2009

I nuovi consumi: prodotti riciclati

Potrebbe essere la rivoluzione che cambierà il mondo dell’in­dustria e del commercio, quel­la degli eco-consumi, con l’eco-con­sumatore protagonista assoluto. Non si tratterà più di comprare un prodotto qualsiasi ma «solo» quel prodotto, che non utilizza nuove ri­sorse ma usa quelle già esistenti (rici­clo), che non produce rifiuti perché tutti i suoi pezzi sono riciclabili, che non inquina perché il processo di produzione è completamente soste­nibile.

Fantascienza? Nel mondo sta di­ventando realtà, ed è evidenziata dai dati, in sensibile aumento soprattut­to nelle nazioni più avanzate, delle quantità di rifiuti che non vanno più a finire in discarica ma che vengono riciclati. L’Europa dei 15 ricicla il 54 per cento della spazzatura e ne man­da all’inceneritore quasi il 18 per cen­to. Il resto va in discarica. Ma anche in Italia, che pure resta un po’ indietro rispetto ad altri Stati europei, la tendenza sta diventando abitudine. Perché anche da noi la quantità di rifiuti non più indirizzati verso la pattumiera ma riutilizzati nel ciclo produttivo è aumentata negli ul­timi anni. «Le aziende italiane stanno cominciando ad interessarsi ad una nuova grande frontiera — spiega Er­mete Realacci, deputato Pd, presiden­te onorario di Legambiente —. L’in­crocio tra qualità e design, propri del made in Italy, e i comportamenti vir­tuosi nella produzione. Chi avrebbe mai pensato, solo dieci anni fa, che la Fiat potesse acquisire un terzo della Chrysler praticamente a costo zero perché è un’azienda portatrice di tec­nologie a bassissimo impatto ambien­tale su automobili di piccola cilindra­ta, che hanno anche un marchio di qualità e di design? Inoltre, cosa non meno importante, le aziende stanno comprendendo come il prodotto eco-sostenibile e riciclato di alta qua­lità crei una sorta di barriera dogana­le virtuosa che va oltre i dazi. I dazi sono impensabili in un’economia glo­bale ma le barriere doganali 'natura­li' create dal prodotto eco-sostenibi­le possono configurare una forma di difesa dei nostri prodotti e di rilancio della competizione».

Dalla moda all’hi-tech. Il massic­cio ricorso alla salvaguardia dell’am­biente nella pubblicità veicola un messaggio capovolto rispetto al pas­sato. Non un prodotto qualsiasi ma quello biologico ed ecologico. Mobili riciclati, tessuti naturali, prodotti bio­logici. Biciclette riciclate (Cial), scar­pe di carta riciclata (Puma), alberghi ecologici in legno naturale. Persino (per ora solo in America, prezzo 60 dollari) un telefonino fatto di bottiglie di plastica e per giunta carbon neutral, cioè a zero emissioni di CO2 per la sua produzione. Tutta una vasta gamma di eco-prodotti hanno convinto anche l’eco-consu­matore italiano che si può. Si può tro­vare sul mercato il primo telefonino full touch screen ad alimentazione solare, un cordless che riduce i con­sumi dell’80 per cento a 19 euro e 90, un climatizzatore fatto al 95 per cen­to con materiali di riciclo. Il settore dei prodotti hi-tech, in particolare, un tempo considerato fortemente inquinante, si è lanciato nel sostenibile. Perché l’eco-consu­matore non compra più semplice­mente un frigorifero ma un frigorife­ro classe A o non lo compra affatto. Il consorzio ReMedia, creato da oltre 1000 aziende di hi-tech, e che per conto di queste aziende in Italia si oc­cupa della raccolta e del trattamento dei rifiuti tecnologici ed elettronici, gestisce un terzo di tutto l’hi-tech italiano: nel 2008 ha trattato 20.300 tonnellate di rifiuti tecnologici, delle quali 17.150 sono state recuperate e solo 3100 sono andate in discarica. Il riciclo ha consentito di risparmiare qualcosa come il consumo annuo di un comune di 2650 abitanti o il con­sumo annuo di 245 mila tv al pla­sma. Dalle fabbriche del riciclo, che so­no fabbriche al contrario, escono le materie prime a pezzettini, plastica, vetro, carta, alluminio, «con un gros­so vantaggio per l’ambiente — spie­ga il direttore generale di ReMedia Danilo Bonato — perché non biso­gna prendere le materie prime in na­tura con grande dispendio di ener­gia, si utilizzano quelle che ci sono già, ottenute dal differenziato».

L’Ita­lia è un po’ in ritardo ma facciamo progressi. «Almeno il 30 per cento dei prodotti ormai è verde — conti­nua Bonato —. Le industrie si muo­vono, il consumatore è diventato più sensibile, manca ancora un interven­to deciso dello Stato. In Danimarca, per fare un esempio, tutte le aziende verdi sono detassate». L’eco-prodotto ha un traguardo da raggiungere, quello del completa­mente riciclabile o riutilizzabile. «Il vero obiettivo finale è ottenere un prodotto che non dà rifiuti — sot­tolinea Massimiliano Varriale del Wwf —. La ricerca e alcune aziende all’avanguardia ci lavorano già. Oggi almeno il 40 per cento del prodotto è fatto dal suo imballaggio che finisce direttamente in discarica. Negli eco-sistemi naturali non esistono i ri­fiuti, tutto si riutilizza, tutto rinasce sotto nuova forma. Il rifiuto è un pro­dotto interamente umano. Tornare ad un sistema ecologico vero signifi­ca arrivare ad un prodotto senza rifiu­ti che ritorna nel ciclo come avviene in natura. Questo non significa de­monizzare la plastica, per esempio, ma cambiare il cattivo uso che ne fac­ciamo. No ai prodotti usa e getta non biodegradabili, la plastica per sua na­tura è un materiale duraturo, deve es­sere usata per beni durevoli. Da qui il grandissimo successo dei prodotti al­la spina, anche nei supermercati, che non producono rifiuti»

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