giovedì 2 aprile 2009

Dal tetrapak ai mattoni l'anima verde dei materiali

Cartoni di latte, confezioni di pelati, succhi di frutta da bere con la cannuccia. Oggetti di uso quotidiano, di cui sappiamo però molto poco. L'esperto del Wwf Massimiliano Varriale risponde ai quesiti dei lettori di Repubblica.it sulla sostenibilità di questi imballaggi e le loro modalità di smaltimento. Attraverso le risposte alle altre domande, tanti suggerimenti sulle scelte edilizie per isolare correttamente casa da caldo e freddo, con enormi vantaggi per ambiente e portafoglio.

Con questa seconda tranche si chiude il capitolo dedicato a rifiuti e risparmio domestico. L'argomento del prossimo mese sarà il verde urbano, la protezione degli animali e della biodiversità. Tutti temi che il piano casa del governo, la nuova proposta di legge sulla caccia e le vittime dei cani randagi hanno riportato di grandissima attualità. A rispondere sarà l'esperto del Wwf Fabrizio Bulgarini. I quesiti possono essere inviati via email all'indirizzo v.gualerzi@repubblica.it

Tempo fa la società tetrapak ha reclamizzato la riciclabilità di questo materiale composito. E' vero che il procedimento di riciclaggio del tetrapak è fattibile solo con un enorme dispendio di energie? Inoltre ho sentito dire che in Italia vi è un'unica cartiera in grado di riciclare questo materiale. Potete confermarmi anche questa notizie?
Jacopo Zurlo

E' più sostenibile il latte nella bottiglia di plastica o quello nel tetrapak?
Sergio

Il Tetra Pak è un imballaggio cosiddetto poliaccoppiato, vale a dire costituto da più materiali (75% carta, 20% polietilene e 5% alluminio), uniti insieme grazie al film di polietilene colato a caldo, il tutto quindi senza fare uso di collanti. Il fatto di non essere un monomateriale rende sicuramente più complesso il processo di riciclaggio e recupero. Il Tetra Pak può essere conferito nei contenitori destinati alla raccolta differenziata di carta e cartone solo dove le Cartiere hanno dato il loro consenso a Comieco (Consorzio Nazionale Recupero e Riciclo degli Imballaggi a base Cellulosica) e il Comune abbia attivato una specifica campagna informativa. In altri casi questi imballaggi sono conferiti nei contenitori della raccolta differenziata multi materiale.

Il numero di Comuni in cui oggi è di fatto attivo un servizio di raccolta del Tetra Pak è ancora piuttosto limitato. Gli imballi in Tetra Pak raccolti in maniera differenziata sono portati alle cartiere di riferimento dove vengono introdotti in un apposito un macchinario (pulper) che li spappola anche grazie all'aggiunta di acqua calda: il rilascio delle fibre di cellulosa in acqua porta al distacco delle lamine di polietilene e alluminio.
La cellulosa così estratta è di ottima qualità e viene impiegata per realizzare imballaggi specifici. La frazione costituita da polietilene/alluminio è trasformata in Ecoallene, un materiale con cui si realizzano gadget e altri manufatti (non entro qui nel merito di quanto questi siano realmente utili e di quanto possano essere effettivamente ulteriormente riciclati).

Dal momento che circa il 95% dei materiali che compongono il Tetra Pak sono in carta e plastica, ossia dotati di buon potere calorifico, esiste una certo interesse a conferire questi imballaggi agli impianti di incenerimento con recupero energetico: una pratica ambientalmente poco vantaggiosa (per non dire assai dannosa) che si sostiene solo grazie ai finanziamenti statali.

Stabilire poi cosa sia più sostenibile tra un contenitore in plastica o uno in Tetra Pak non è affatto semplice giacché occorrerebbe eseguire una attenta analisi del ciclo di vita (LCA) di entrambi: dalle fasi produttive a quelle di smaltimento. Ad esempio è assai diverso se una bottiglia di plastica può essere recuperata come materia o se è inviata a un impianto d'incenerimento. Ogni kg di plastica richiede, infatti, mediamente 14.000 Kcal di energia per essere prodotto e quando noi lo andiamo a bruciare in un inceneritore con recupero energetico recuperiamo solo una parte del suo potere calorifico: in pratica, ammettendo un rendimento elettrico del 25%, considerato un potere calorifico inferiore (pci) medio delle plastiche di circa 7.800 Kcal/kg, si recupereranno soltanto meno di 2.000 kcal delle 14.000 originariamente spese...

Tramite il riciclaggio, finalizzato al recupero di materia, sarebbe invece possibile un vantaggio energetico oltre 5 volte superiore rispetto all'incenerimento: nelle operazioni di riciclaggio si consumano solo 2.000 Kcal/kg e, quindi, si recuperano (risparmiano) quasi 12.000 Kcal/kg. Ancora più vantaggioso appare il riutilizzo dei contenitori. Il consiglio che posso dare è quindi di orientare gli acquisti verso imballaggi meno problematici e più facilmente riciclabili, meglio ancora se direttamente riutilizzabili mediante un meccanismo di "vuoto a rendere" così come avviene in alcuni casi con le bottiglie di vetro.

Si sente dire continuamente che un modo per risparmiare energia è azionare gli elettrodomestici (lavapiatti e lavatrice) la sera. La mia domanda può sembrare banale, ma io vorrei sapere cosa si intende esattamente per sera. In altri termini, a partire da che ora è bene mettere in funzione questi elettrodomestici perché ci sia un effettivo risparmio energetico?
Agnese Lombardo

Purtroppo non è vero che azionare gli elettrodomestici la sera (o nelle ore notturne) consenta di risparmiare energia. I kWh consumati da un elettrodomestico, infatti, non cambiano secondo l'orario cui noi decidiamo di farlo funzionare. Facciamo un esempio per meglio comprendere la questione. Una moderna ed efficiente lavatrice (classe A+), consuma meno di 0,85 kWh per ciclo di lavaggio (lavaggio cotone a 60°C, lavatrice da 5 kg); quest'apparecchio consumerà la stessa quantità di energia elettrica (cioè gli stessi kWh) a prescindere dall'orario di utilizzo, diurno o notturno che sia: il consumo è, infatti, un parametro strettamente connesso alle caratteristiche tecniche (prestazioni) dell'apparecchio utilizzato e alle modalità del suo utilizzo (es. scelta della temperatura di lavaggio).

Il suggerimento, di alcune aziende fornitrici di elettricità, di accendere gli elettrodomestici durante la notte, risponde più che altro alle loro esigenze di gestione dei carichi orari e alla possibilità di acquistare energia da altri paesi: durante le ore diurne sono infatti richieste dalla rete (e quindi dalle diverse utenze) potenze di ben oltre 40.000 MW (40.000 milioni di Watt, ossia 40 milioni di kW) di energia, con punte che possono superare i 55.000 MW, durante la notte ne occorrono mediamente 30.000 MW o anche meno. Queste fluttuazioni sono connesse al fatto che durante la notte molte aziende sono chiuse e la maggior parte delle persone dorme, quindi le richieste di energia sono inferiori.

In sostanza per le compagnie elettriche è vantaggioso riuscire a spostare quota parte dei consumi nelle ore notturne perché permette loro di usare impianti di produzione relativamente più economici. In realtà la questione è ancora più complessa: durante la notte i nostri operatori energetici preferiscono tenere spente molte centrali elettriche e importare una quota di energia prodotta dalle centrali nucleari francesi o svizzere. Questi Paesi di notte sono sostanzialmente costretti a esportare l'energia prodotta dalle loro centrali nucleari che, funzionando a ciclo continuo, non possono essere accese e spente a piacere. Nelle ore notturne, quindi, in cui la domanda è assai minore, Francia e Svizzera, al fine di garantire la stabilità del proprio sistema elettrico, hanno l'esigenza di cedere elettricità ai paesi limitrofi. In pratica acquistando energia nucleare dalla Francia (o dalla Svizzera) stiamo facendo loro un favore.

Ho in programma di costruire una villetta unifamiliare nella campagna toscana. Ovviamente, vorrei garantire alla mia famiglia un comfort abitativo sia nei mesi caldi d'estate che in quelli freddi dell'inverno e, inoltre, ottenere un buon risultato estetico. E' possibile raggiungere insieme questi diversi obiettivi? Quali materiali potrebbe suggerire per le esigenze espresse?
Giorgio

Si tratta di una domanda complessa che necessita di una risposta piuttosto articolata. Premesso che la scelta dei materiali può incidere notevolmente sulla qualità dell'edificio, occorre tener presente, però, che la costruzione di una casa è un progetto complesso e che il risultato ottenuto dipende da numerose variabili, quali: il corretto orientamento, il rapporto superficie/volume, la distribuzione degli interni, la scelta delle soluzioni di involucro e dei relativi materiali, la qualità dell'esecuzione. E' inoltre importante osservare che non tutti i materiali da costruzione sono idonei dal punto di vista ambientale, nonostante siano molti i prodotti in edilizia capaci di assicurare elevate prestazioni energetiche. In generale un materiale edile che sia "buono" anche per l'ambiente dovrebbe non essere di origine sintetica, non contenere additivi chimici, non subire trasformazioni lunghe ed energivore, non essere importato da lontano, essere duraturo e non presentare difficoltà di smaltimento, o meglio poter essere recuperato per impieghi analoghi o di altro genere.

La prima considerazione da fare, alla luce dell'esigenza di comfort estivo ed invernale, certamente associati ad un basso consumo energetico, è quella di riferirsi ad una modalità costruttiva cosiddetta massiva che, per effetto dell'elevata inerzia termica, contribuisce ad un significativo risparmio nei consumi, soprattutto nel periodo estivo, assicurando favorevoli condizioni di comfort, senza dover ricorrere a costosi ed energivori impianti di climatizzazione. E' bene ricordare che il nostro è un paese caratterizzato da un clima mediterraneo, dove la protezione dall'irraggiamento solare in estate e la capacità di accumulo dell'energia diurna costituiscono elementi importanti nella progettazione di edifici residenziali, e non solo.

La forte crescita degli ultimi anni dei consumi energetici estivi, per effetto di un uso smodato dei condizionatori d'aria, indica chiaramente come il problema del raffrescamento estivo sia spesso ignorato in fase progettuale, adottando soluzioni costruttive inadeguate. Recenti ricerche universitarie (Politecnico di Milano) hanno dimostrato che due abitazioni, a parità di condizioni (isolamento, esposizione, cubatura, modalità di utilizzazione, ecc.) ma con differente massa dell'involucro esterno ("leggera" e "pesante"), possono avere una differenza nei consumi energetici annuali fino al 30% a favore della soluzione massiva.

Altro aspetto da considerare è indubbiamente la garanzia di durata nel lungo periodo del materiale e delle sue prestazioni senza dover ricorrere a pesanti interventi di manutenzione nel tempo, che potrebbero annullare inesorabilmente le "strabilianti" perfomance promesse inizialmente, che possono nel breve periodo superare addirittura gli stessi costi iniziali di costruzione. Soluzioni intonacate sono indubbiamente più vulnerabili rispetto a soluzioni in laterizio faccia a vista che non richiedono praticamente manutenzione e risolvono di fatto l'esigenza estetica a cui si fa riferimento nella domanda. Senza confondere, però, quest'ultimo aspetto con la qualità architettonica che, invece, dipende strettamente dalla capacità creativa del progettista.

Le città storiche di cui è ricca la sua Toscana, caratterizzate da una continuità estetica urbanistica e paesaggistica, ne sono un esempio lampante. La scelta dei materiali, deve tenere conto, come premesso, delle ricadute ambientali legate al loro impiego, che si aggiungono alle priorità già elencate. I prodotti selezionati devono cioè essere facilmente reperibili in ambito locale (il trasporto impatta molto sull'ambiente), in sintonia con le costruzioni esistenti, collaudati e perfettamente conosciuti dalle maestranze, riciclabili al termine della vita utile della costruzione in cui sono stati utilizzati. In tal senso, un materiale come il laterizio, già preferito per le sue qualità estetiche, può costituire una garanzia di sostenibilità dell'edificio.

Anche la sicurezza, infine, riveste una sua importanza, spesso sottostimata, soprattutto per quanto concerne la qualità dell'aria interna (assenza di gas o sostanze volatili emesse da solventi o simili) delle abitazioni in cui trascorriamo molto del nostro tempo e, in condizioni eccezionali, ma tutt'altro che rare, come ad esempio l'incendio: è bene ricordare a tale riguardo che le vittime causate da avvenimenti di questo tipo sono state principalmente provocate dall'emanazione di gas tossici che hanno impedito la fuga delle persone coinvolte.

Vorrei capire meglio cosa sono massa e sfasamento di cui sempre più spesso sento parlare in giro. A cosa servono?

La ringrazio per la sua domanda che ci permette di affrontare un interessante argomento con implicazioni sul modo di costruire e quindi sul nostro modello di vita attuale ma anche futuro, e che mette in risalto la necessità di ridurre drasticamente anche i consumi per il condizionamento estivo. Da alcuni anni, oramai, il picco di consumo di energia elettrica si è spostato dalla stagione invernale a quella estiva, questo a causa del sempre maggior numero di condizionatori installati, con forti criticità soprattutto, nelle regioni del centro-sud dell'Italia. Non a caso le tipiche e tradizionali costruzioni dell'area mediterranea sono identificate con la terminologia "massive": basti pensare ai trulli, alle tholos ed ai nuraghi.

L'idea di massa, del "peso", richiama alla memoria le costruzioni in muratura di una volta: chiese, palazzi, case rurali, ecc., dove ci si rifugiava quando la calura estiva diveniva difficilmente sopportabile. Purtroppo questo aspetto è sempre stato trattato marginalmente dalla normativa in materia. Gli stessi recenti decreti legislativi 192/05 e 311/06, che recepiscono la direttiva europea in tema di risparmio energetico e del contenimento delle dispersioni termiche, hanno di fatto privilegiato soprattutto il contenimento dei consumi invernali, anche se è da apprezzare l'introduzione del concetto di massa per l'involucro esterno che deve essere superiore, in determinate condizioni climatiche, a 230 kg/m2.

Il ricorso a soluzioni con una massa importante permette non solo di raggiungere idonei valori d'isolamento termico (riducendo i consumi energetici per la climatizzazione degli ambienti interni) ma, contemporaneamente, di avere ottimi risultati sul fronte dell'isolamento acustico (altro argomento sempre più percepito nella quotidianità). Il valore aggiunto delle soluzioni massive, che riguardano l'insieme delle pareti, dei solai e delle coperture - ad esempio, murature in laterizio, sia del tipo cosiddetto "monostrato" (con blocchi) sia del tipo a "cassetta" (combinazione con forati, blocchi, mattoni faccia a vista, tavelloni, isolanti, ecc.) - va indubbiamente a vantaggio del comfort termico abitativo, in modo passivo, senza costituire quindi un costo a carico degli occupanti.

Uno dei modi più efficaci per il controllo della climatizzazione degli spazi interni negli edifici, sia in estate sia in inverno, è proprio lo sfruttamento di questa proprietà dei componenti edilizi, ovvero dell'inerzia termica. Gli effetti positivi dell'inerzia termica sono valutabili in termini di sfasamento dell'onda termica (che esprime il periodo di tempo necessario affinché il calore attraversi la parete e passi nell'ambiente interno dell'edificio) e attraverso il fattore di decremento o attenuazione (un valore adimensionale dato dal rapporto fra il flusso termico massimo della parete capacitiva e il flusso massimo di una ipotetica parete a massa termica nulla).

La massa dei materiali è, infatti, in grado di svolgere una vera e propria funzione di regolatore della temperatura tra esterno e interno nell'arco della giornata, riducendo al minimo il ricorso all'impiantistica dedicata alla climatizzazione degli ambienti. In parole povere, i muri accumulano il calore e lo rilasciano quando all'esterno la temperatura si è abbassata. Se fuori, infatti, il massimo valore si raggiunge all'ora di pranzo, all'interno questo non è percepito: ad esempio in estate gli ambienti abitativi sono raggiunti dalla temperatura più elevata solo durante la notte, dopo un certo numero di ore, attenuata dalla presenza del muro, quando ormai la temperatura esterna si è abbassata verso valori minimi.

Tra l'altro recenti simulazioni tramite software di tipo dinamico, che tengono conto cioè del variare delle condizioni ambientali nel corso della giornata, hanno dimostrato una forte influenza sul contenimento dei consumi per le soluzioni pesanti ("massive"), anche in inverno.

Per capire come orientarsi al momento di effettuare la scelta della soluzione costruttiva più idonea, non esistendo al momento prescrizioni normative di valori di attenuazione e sfasamento conformi, ci si può riferire al Protocollo Itaca (una sorta di valutazione a punti proposta dalle Regioni, che tiene conto di tutte le caratteristiche salienti della soluzione costruttiva adottata), in cui è consigliato un valore di sfasamento minimo di 8 ore ed un fattore di attenuazione minore di 0,35.

Volevo sapere se le buste di plastica possono essere riciclate o se ci sono distinguo in tal senso.
Giada Ceridono


Le buste di plastica possono solitamente essere conferite nei raccoglitori per la raccolta multi materiale (plastica, vetro, alluminio) insieme agli imballaggi.
Le buste o shopper in plastica (generalmente polietilene) rappresentano un gravissimo problema ambientale essendo divenuti probabilmente gli oggetti di consumo più diffusi al mondo: ogni anno ne vengono prodotti oltre 5.000 miliardi... Considerato che si tratta di prodotti "usa e getta" non biodegradabili è facile intuire che peso ambientale possano avere, tanto in fase di smaltimento quanto in quella di produzione (essendo realizzati a partire dal petrolio). Per "decomporre" un sacchetto di plastica occorrono decenni e quando questi finiscono in mare sono causa di morte per soffocamento per molte specie di animali (soprattutto tartarughe e cetacei).

La gravità della situazione ha spinto diversi Paesi a vietarne o disincentivarne fortemente l'uso. In Italia, dove si producono circa 300.000 tonnellate l'anno di buste, si parla del 2010, ma conoscendo come vanno le cose nel nostro paese è prevedibile che i tempi saranno ancora più lunghi... In base a quanto detto non si può che consigliare di sostituire da subito le buste di plastica con sporte in materiali naturali e resistenti fatti per durare nel tempo, come le classiche borse di tela

Due lettrici di Roma, Manuela Pinto e Maria, ci chiedono quanto è affidabile la raccolta differenziata effettuata nella capitale, insinuando il dubbio che in realtà vada tutto a finire nell'inceneritore.

In molti hanno scritto per chiedere chiarimenti sulle raccolte differenziate a Roma esprimendo diverse critiche su come queste sono condotte e su quale sia il destino finale dei materiali così raccolti. Non possiamo che concordare con quanti sostengono che a Roma e provincia la gestione dei rifiuti non brilli per eccellenza. I numeri peraltro parlano da soli: in tutta la provincia di Roma si raggiunge un modestissimo 13,2% di raccolta differenziata. Nel comune di Roma ogni cittadino nel 2007 ha prodotto in media 649 kg di rifiuti e di questi solo il 17% è stato raccolto in maniera differenziata. Tutto il resto è avviato agli insostenibili impianti di smaltimento (che si tratti d'inceneritori, gassificatori e/o discariche).

Il problema, oltre che di una cattiva gestione generale, va ricercato nel fatto di ricorrere a sistemi di raccolta basati sui cassonetti stradali che non consentono di raggiungere elevati livelli quantitativi e qualitativi di raccolte differenziate. E' dimostrato, infatti, come nei cassonetti e raccoglitori stradali si verifichino conferimenti impropri che danneggiano la qualità del materiale da avviare a riciclo. Le migliori esperienze di gestione dei rifiuti, che hanno portato ai più brillanti risultati nelle raccolte differenziate e nella stessa responsabilizzazione dei cittadini, sono quelle che puntano sui così detti sistemi di raccolta "porta a porta", ossia di tipo domiciliare (l'organizzazione del servizio cambia da città a città tenendo, conto di numerosi fattori locali specifici). I dati raccolti dimostrano inequivocabilmente che solo con le raccolte domiciliari "porta a porta" è possibile riuscire a raggiungere elevatissimi livelli quali-quantitativi di raccolta differenziata: infatti in questi casi s'instaura un rapporto diretto tra cittadini, pubbliche amministrazioni e società di gestione dei rifiuti.

Ognuno sa quale compito deve svolgere e comprende pienamente l'importanza di eseguire una corretta gestione e differenziazione dei rifiuti. Peraltro il cittadino comprende meglio come i rifiuti siano prevalentemente il prodotto, non solo di un sistema produttivo inefficace e inefficiente, ma di scelte individuali operate al momento dell'acquisto: scegliere prodotti con minore contenuto d'imballaggi o con imballaggi più facilmente riciclabili, orientarsi su prodotti sfusi magari con sistemi di vuoto a rendere, ecc., divengono opzioni alla portata di ogni individuo.

Sempre dai dati di letteratura emerge come nei comuni, dove si ricorre al "porta a porta", non solo le raccolte differenziate raggiungono i risultati brillanti sopra citati, ma si innescano anche diffusi comportamenti virtuosi di riduzione e prevenzione della produzione dei rifiuti stessi: il cittadino torna a sentirsi responsabile dei suoi rifiuti e opera scelte che ne consentono di ridurre la quantità già al momento dell'acquisto delle merci. Così mentre negli anni la produzione dei rifiuti è diminuita nelle città in cui si è puntato sui sistemi "porta a porta", in quelle in cui si è adottato il sistema dei cassonetti stradali i rifiuti sono andati aumentando. Peraltro il ricorso alle raccolte domiciliari "porta a porta" consente di passare da forme di tassazione generica alla tariffazione puntuale: si pagano così solo i rifiuti realmente prodotti. Aspetto, questo, capace di innescare meccanismi comportamentali ulteriormente vantaggiosi.

Per fortuna possiamo dire che anche in una realtà considerata difficile come quella di Roma, i recenti esperimenti di raccolta "porta a porta", condotti in alcuni quartieri, hanno dato risultati ottimi (superando in poche settimane il 60% di raccolta differenziata di qualità), dimostrando che il sistema può funzionare ovunque, ha patto che vi sia la volontà politica di farlo funzionare e non si antepongano gli interessi privati di chi vuole privilegiare la filiera dell'incenerimento (sorretto dagli aiuti di Stato) a quella più virtuosa e sostenibile del recupero di materia.

L'invito a tutti i cittadini è, quindi, di continuare a fare la raccolta differenziata nel migliore dei modi, spingendo sulle pubbliche amministrazioni e sulle società di gestione dei rifiuti affinché ovunque sia adottato il sistema di raccolta domiciliare "porta a porta". Allo stesso tempo è importante che tutti i cittadini sappiano orientare i propri acquisti; ad esempio a Roma (ma lo stesso discorso varrebbe per moltissime altre città...) l'acqua dell'acquedotto è di buona qualità e si potrebbe tranquillamente evitare di acquistare quella in bottiglia. E' una piccola scelta che può portare notevoli benefici, non solo di tipo ambientale.

L'olio di frittura (essendo completamente organico), può andare nel bidone del compost o sulla terra in un angolo del giardino?
Nicola Bressi


Gli oli vegetali usati nelle fritture sono sicuramente prodotti "organici" distinguibili dagli oli minerali derivanti dai combustibili fossili. Questo però non li rende innocui per l'ambiente, qualora non correttamente smaltiti. Infatti, soprattutto a causa del processo di frittura dei cibi, gli oli vegetali subiscono delle alterazioni caratterizzate dalla formazione di una serie di prodotti di ossidazione, volatili e non volatili. I primi sono sostanzialmente persi durante le fasi di frittura, i secondi tendono ad accumularsi negli oli caricandoli di sostanze inquinanti prodotte dai processi di carbonizzazione dei residui alimentari. Processi che, per l'appunto, portano al deterioramento e alla stessa non riutilizzabilità (a scopo alimentare) degli oli una volta usati per friggere.

Queste trasformazioni chimiche rendono, di fatto, gli oli usati potenzialmente molto inquinanti qualora smaltiti nell'ambiente, è anche per tale motivo che non vanno gettati nel lavandino o nel water. Gli oli usati, infatti, una volta entrati nei sistemi fognari possono influenzare negativamente il funzionamento dei depuratori; gli oli che invece raggiungono acque superficiali (ad esempio laghi o fiumi) formano su questi una sottile pellicola impermeabile che rende impossibili gli scambi gassosi, in primis quelli di ossigeno, fondamentali per la sopravvivenza delle forme di vita acquatiche. Se poi questi oli finiscono nelle falde acquifere ne possono compromettere la stessa potabilità. Il loro sversamento nei terreni può danneggiare direttamente le piante impedendone l'assorbimento dei nutrienti a livello radicale.

Alla luce di quanto appena detto appare evidente come la corretta gestione di questi rifiuti debba comportare una loro attenta raccolta differenziata: gli oli usati andranno messi in un contenitore di plastica o vetro di adeguate dimensioni che, una volta riempito, potrà essere svuotato nei bidoni o fusti presenti presso le piattaforme e isole ecologiche attrezzate allo scopo. Occorre anche rammentare che gli oli usati costituiscono una preziosa risorsa in quanto possono essere rigenerati e impiegati in diversi processi industriali in sostituzione degli oli minerali derivati dal petrolio. Uno degli impieghi più interessanti degli oli usati è la loro trasformazione in biodiesel da impiegare al posto del diesel di provenienza fossile.

Qualche giorno fa sono andata in ospedale a trovare una parente all'ora dei pasti. I pasti vengono serviti tutti in contenitori di plastica sigillati: quindi 3 piatti per primo secondo e contorno, altro piccolo contenitore per il formaggio grattugiato, altre tre piccole bustine per olio, sale e aceto, bicchiere e posate di plastica. Che senso ha tutto questo? Che fine fa quella montagna di stoviglie di tutti gli ospedali?
Marcella Pellegrini


Purtroppo il problema dell'utilizzo di piatti, bicchieri e altre stoviglie in materiali "usa e getta" (prevalentemente plastica, ma in alcuni casi anche alluminio) si è assai diffuso negli ospedali, e non solo (si pensi anche alle mense delle scuole o di altri enti).
Questo è avvenuto soprattutto per motivi di carattere economico e non certo per ragioni ecologiche o igenico-sanitarie: il massiccio ricorso all'usa e getta ha, infatti, impatti ambientali assai elevati, sia nelle fasi di produzione sia in quelle di smaltimento. Nel caso delle plastiche si tratta di materiali derivati dal petrolio (un combustibile fossile prezioso ma anche estremamente inquinante), che assorbono molta energia durante i cicli produttivi. Peraltro, dal momento che sono prodotti non biodegradabili, hanno fortissime difficoltà ad essere correttamente smaltite.

Su quale fine facciano queste grandi quantità di materiali, dopo il loro utilizzo, è presto detto: solitamente finscono in impianti d'incenerimento e le ceneri e scorie (equivalenti a circa il 30% in peso dei materiali bruciati), derivanti dai processi di combustione che avvengono in questi impianti, dovranno poi essere smaltite in discariche per rifiuti speciali e, anche, pericolosi (le ceneri e, soprattutto, le scorie di filtraggio dei fumi si caricano, infatti, di metalli pesanti e decine di composti inquinanti). L'altro 70% del materiale incenerito viene emesso in atmosfera sotto forma di fumi contenenti svariate decine di sostanze inquinanti e pericolose per la salute e l'ambiente. Per fortuna ancora oggi esistono ospedali (o mense) che, sensibili ai problemi ambientali, continuano a utilizzare piatti, bicchieri e altre stoviglie in materiali riutilizzabili, previo adeguato lavaggio. Di recente è giunta notizia che un ospedale di Napoli ha deciso di abbandonare l'uso della plastica e dell'alluminio, precedentemente adottati per contenere i cibi e le bevande, passando a materiali riutilizzabili. Si tratta d'iniziative importati che vanno nella giusta direzione.

Volevo sapere se nylon e pellicole di plastica possano essere riciclate o se debbano essere gettate nel rifiuto generico.
Stefano Colonnello


Il nylon e le varie pellicole di plastica possono essere conferite nelle campane/raccoglitori della raccolta differenziata della plastica o in quelle multi materiali (vetro, plastica, alluminio), anche se occorre prestare attenzione alle indicazioni fornite dalla società di gestione dei rifiuti (ex municipalizzata) che opera nella sua città. Le cose infatti possono cambiare a seconda del comune in cui si risiede.

Per quanto concerne poi il fatto che queste plastiche possano essere realmente riciclate e recuperate come materiali nuovamente utili è assai più complesso. Dal punto di vista tecnico le plastiche possono essere riciclate ma occorre avere ben chiaro come la fortissima eterogeneità di polimeri (plastici) renda il tutto estremamente più complesso. Proviamo a chiarire meglio la questione. Se ad esempio esistesse un solo tipo di plastica (non importa che la sigla sia PET, PE, PS o PP), dal suo processo di recupero, sarebbe possibile ottenere nuovamente lo stesso tipo di polimero. Ma dal momento che tutte le plastiche vengono mischiate insieme nel processo di recupero di materia, solitamente si ha la loro fusione e il materiale finale ottenuto presenta proprietà generalmente scadenti o comunque non paragonabili a quelle del prodotto di partenza. Questo ha rappresentato uno dei principali problemi per il recupero delle plastiche. A ciò si deve sommare il fatto che le plastiche sono accomunate tutte da un elevato potere calorifico, aspetto che le rende particolarmente appetite agli impianti di incenerimento.

Ricordiamo a tal riguardo come detti impianti possono costituire un rilevante problema ambientale e sanitario. Peraltro non aiutano a risolvere il problema della gestione dei rifiuti che dovrebbe basarsi prioritariamente sulla riduzione, sul riutilizzo e sul riciclaggio finalizzato al recupero di materia. Il così detto "recupero energetico" operato dagli inceneritori è di fatto un vero e proprio spreco di energia: tramite il riciclaggio, finalizzato al recupero di materia, sarebbe infatti possibile un vantaggio energetico 5 volte superiore rispetto all'incenerimento.

Quanto detto dimostra ancora una volta che certe tipologie di materiali dovrebbero essere usate il meno possibile, orientandoci su prodotti e contenitori riutilizzabili più e più volte o, quando questo non fosse possibile, su materiali facilmente riciclabili e magari biodegradabili. Si tratta spesso di scelte individuali facili da compiere che consentono elevati benefici ambientali, in termini di riduzione degli impatti e contenimento degli sprechi di materia ed energia.

fonte: repubblica.it

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