GLI ULTIMI DATI – Lo studio è stato condotto dai ricercatori dell’unità di Epidemiologia occupazionale e ambientale della Fondazione IRCCS Ospedale Maggiore Policlinico Mangiagalli e Regina Elena di Milano e pubblicato sulla rivista Environmental Health . Setacciando la casistica di malattie tumorali fino al 1996, i ricercatori hanno rilevato un aumento di rischio significativo per alcune forme di cancro. In particolare, l’area colpita dalle esalazioni tossiche è stata suddivisa in tre zone di esposizione decrescente alla Tcdd (2,3,7,8-Tetraclorodibenzo-p-diossina, uno dei composti della diossina, classificato come cancerogeno di classe uno), più una zona di controllo non contaminata. Un eccesso di leucemie e linfomi è stato riscontrato nelle zone A e B (quelle più vicine al luogo dell’incidente e ad esposizione molto alta e alta), mentre per il tumore mammario l’anomalia riguarda le donne che vivono nella sola zona A, proprio in prossimità della fabbrica, e segna un picco a 15 anni dal disastro.
«CE L’ASPETTAVAMO» - «Noi del gruppo della Clinica del lavoro dell’università di Milano occupiamo di Seveso da più di 20 anni –racconta Angela Pesatori, che ha diretto lo studio insieme a Pier Alberto Bertazzi – e questi ultimi dati sono in linea con i risultati di uno studio pubblicato l’anno scorso sulle cause di decesso fino al 2001, in cui già era emerso un aumento dei tumori del sistema linfatico ed emopoietico (Mortalità nella popolazione esposta a diossina dopo Seveso, Italia, nel 1976: 25 anni di follow-up, apparso sull’American Journal of Epidemiology). Oggi esce un lavoro con un follow-up più corto, fino al 1996, che però conferma un’incidenza superiore alla media, anche se su un numero limitato di casi, nelle zone A e B, le più vicine al luogo dell’incidente (la A proprio in prossimità della fabbrica, la B un po’ più estesa, fino a raggiungere i 5mila abitanti) ».
DANNO SOLO PER CHI ERA LI’ NEL ’76 - L’indagine ha riguardato le vicende sanitarie di tutte le persone che vivevano nell’area dell’incidente al momento della fuga di diossina, oltre a quelle che l’hanno lasciata e che vi sono andate ad abitare nei dieci anni successivi. In tutto, 36.589 cartelle cliniche, con 2.122 casi di cancro. «Le uniche differenza degne di nota sembrano riguardare le persone che erano residenti nella zona interessata al momento del disastro, non chi vi è entrato negli anni successivi. In altre parole, il rischio-tumore aggiunto è correlato all’evento del 1976» spiega Angela Pesatori.
BASTANO I NORMALI CONTROLLI - Questa appare l’ultima di una lunga serie di conferme sulla cancerogenicità della diossina. «Almeno per i livelli di esposizione di questa popolazione e soprattutto per quanto riguarda le malattie tumorali del sangue e dei linfonodi - precisa Pesatori –. Sul carcinoma mammario, invece, i casi sono veramente pochi e le possibili concause della malattia – età, storia riproduttiva, ormoni, etc. - rendono difficile puntare il dito con certezza sulla Tcdd. Lo capiremo solo con altri studi» . Quali le implicazioni per la popolazione residente, una delle aree più popolate del Paese? Devono sottoporsi a controlli supplementari? «No, non abbiamo indicazioni che queste persone possano trarre beneficio da qualcosa di diverso dai programmi di prevenzione per la diagnosi precoce suggeriti a tutti i cittadini» risponde la ricercatrice.
I DATI PRECEDENTI – Oltre alle rilevazioni sui tumori, l’analisi della mortalità fra il 1977 e il 2001 ha mostrato un aumento dei decessi per malattie cardiocircolatorie nel primo anno dopo l’incidente, un fenomeno che, spiega Pesatori, può essere interpretato col «fattore-stress»: «Succede che con eventi così clamorosi e traumatici, lo stress contribuisca a un aggravamento delle condizioni preesistenti e già critiche». A fine ottobre è previsto un Convegno organizzato dalla Regione Lombardia, che illustrerà i risultati del monitoraggio avviato sin dai primi anni ’80.
fonte: corriere.it
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