venerdì 18 settembre 2009

Ridisegnare deserti 'verdi' con la geoingegneria

E se si potessero coltivare foreste nei deserti? Questa è l’idea lanciata dal ricercatore Leonard Ornstein, del Mount Sinai School of Medicine di New York, che attraverso l’ausilio della geoingegneria sta pensando di studiare un piano per ricoprire le coste dell’Australia ed il deserto del Sahara con vere e proprie distese di boschi e foreste; il progetto, se realizzabile, permetterebbe di assorbire circa 8 miliardi di tonnellate di carbonio all’anno, costituendo, forse, una speranza in più che il global warming venga arrestato.
Nello specifico, verrebbero desalinizzate le acque delle coste australiane e del Nord Africa che così saranno poi utilizzabili per la crescita di piante resistenti al calore, come l’eucalipto. La tecnica di irrigazione, detta “a goccia”, permetterebbe inoltre una minor evaporazione dell’acqua dovuta alle calde temperature.
Non sarebbe economico. Sommando i costi per la costruzione, la messa in opera e la manutenzione degli impianti di osmosi inversa per la dissalazione e le attrezzature di irrigazione, il tutto verrebbe a costare due mila miliardi di dollari; tuttavia la cifra non è superiore a quanto sarebbe necessario per mettere in cantiere piani di cattura e stoccaggio della CO2 prodotta a livello globale.
Si sa, la geoingegneria, l’insieme degli interventi tecnologici più innovativi e all’avanguardia in tema di soluzioni per modificare artificialmente il clima, è fortemente criticata non tanto per lo scopo, che può essere nobile, quanto invece a causa dei mezzi e delle conseguenze che quelle stesse tecniche producono.
Infatti, in questo caso ad esempio, un progetto del genere correrebbe il serio rischio di aumentare il grado di umidità provocando proporzionalmente un invasione di insetti, e il danneggiamneto dei terreni esistenti, senza contare che interromperebbe la polvere ricca di azoto, ferro e fosforo del deserto che, portata dal vento, svolge un ruolo cruciale nella fertilizzazione delle grandi zone dell’Oceano Atlantico.

fonte: rinnovabili.it

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