venerdì 25 settembre 2009

Navi dei veleni, Massimo Scalia: «Gli affondamenti sospetti denunciati sono 39»

L'agenda del confronto tra Governo e regioni, che viene rimandata di volta in volta, si è allungata ieri di un ulteriore punto: trovare tutte le navi dei veleni che giacciono in fondo al mare e bonificarle dai loro carichi di rifiuti. Una questione ritenuta di primario interesse nazionale e per questo di competenza diretta della Presidenza del Consiglio dei Ministri, secondo la richiesta partita dalla "Commissione ambiente e protezione civile" degli assessori regionali, coordinata da Silvio Greco, l'assessore all'ambiente della regione Calabria che si trova in prima fila sulla vicenda dopo la scoperta della nave affondata dalla 'ndrangheta davanti alle coste di Cetraro, e che è stata accolta all'unanimità dai rappresentanti delle regioni.

Il problema, dunque, hanno scritto nel documento approvato dalla "Commissione ambiente e protezione civile"delle Regioni, non è dei territori rivieraschi, ma dell'Italia intera.

«E' chiaro - ha dichiarato l'assessore all'ambiente della Calabria, Silvio Greco- che i traffici illeciti di rifiuti hanno una filiera lunghissima di responsabilità, che attraversa territori e confini. La cosa di cui ho paura e' il silenzio che abbiamo riscontrato su questa vicenda. Il ritrovamento della nave a Cetraro dimostra che il pentito di'ndrangheta Francesco Fonti aveva detto la verità ed indicatola localizzazione esatta del relitto, già molti anni fa, ma lo Stato non si era mosso».

La conferma che la Rigel, un'altra nave affondata sui fondali calabresi con un carico sospetto, fu fatta naufragare di proposito arriva dalla sentenza di condanna per naufragio doloso, in base all'art. 428 del codice penale, emessa dal tribunale di La Spezia il 20 marzo 1995, confermata in appello dal tribunale di Genova il 10 novembre 1999 e resa definitiva in Cassazione il 10 maggio 2001. E questa secondo Sebastiano Venneri, vicepresidente di Legambiente «costituisce un tassello fondamentale per giungere alla verità sulle navi dei veleni» ma continua Venneri «Per fare chiarezza sull'intera vicenda che vede coinvolti industriali, politici, trafficanti d'armi, faccendieri, mafiosi e servizi segreti deviati, è necessario riaprire l'inchiesta e individuare il relitto con il suo carico».

Secondo il pentito Fonti sarebbero almeno 30 le navi affondate con l'obiettivo di smaltire illegalmente rifiuti e oltre agli interi vascelli ci sarebbero in fondo al mare un numero imprecisato di fusti contenenti residui pericolosi. Una vicenda che pare coinvolgere anche il tratto di mare di fronte le coste toscane, per cui il governatore Claudio Martini ha scritto al premier per chiedere un intervento del governo.

Ne abbiamo parlato con Massimo Scalia (Nella foto), che è stato presidente della prima commissione bicamerale d'inchiesta sul traffico illecito dei rifiuti, la commissione "Ecomafie", istituita nel 1995.

E' vero che si sapeva di questo sistema illegale di smaltimento di rifiuti e che lo Stato non si è mosso?

«Vorrei ricordare il 20 novembre 2000, quando nello stupendo palazzo dei Normanni a Palermo le commissioni parlamentari Antimafia e Ecomafie organizzarono il convegno "Le rotte delle ecomafie", presenti tutti i massimi responsabili delle forze addette al contrasto della criminalità organizzata. "Lo stato si è mosso", affermarono convinti molti dei partecipanti nella sala gremita. Non è stato purtroppo così. Il memoriale del pentito Fonti era già noto da tre anni, ma la sua complessità e la ricchezza delle sue informazioni erano state in qualche modo un fattore di scarsa credibilità, sembrava "costruito" si diceva. Oggi i riscontri effettuati dalla procura di Paola rilanciano invece le indagini e le ipotesi che varie procure e la commissione Ecomafie avevano avanzato nel corso degli anni '90: un panorama di traffici di rifiuti pericolosi o radioattivi, di smaltimenti criminali e complicità politiche in Italia e fuori. Si era capito che il traffico attraversava tutto il Mediterraneo, aveva superato lo stretto di Suez e la Ecomafie fu la prima sede istituzionale a ufficializzare la "waste connection" - armi per i signori della guerra somali in cambio di territorio per seppellire le scorie più nocive - per la quale Ilaria Alpi e Miran Hrovatin furono assassinati. In questo contesto il documento approvato dalla "Commissione ambiente e protezione civile" con la richiesta di un impegno a livello nazionale è un passo senz'altro importante».

Quanto ha inciso su questo traffico illegale il gap impiantistico, che riguarda soprattutto il settore dei rifiuti speciali nel nostro paese?

«L'inadeguatezza impiantistica e di sistema del nostro paese nella gestione dei rifiuti riguarda tutto il comparto. Basti pensare al grave ritardo che anche nel nord del Paese ha caratterizzato il raggiungimento dell'obiettivo di legge del 35% di raccolta differenziata. Questi ritardi e questa arretratezza, particolarmente vistosa per i rifiuti speciali, è alla base di quell'ininterrotto flusso di rifiuti che per vent'anni ha attraversato l'Italia da nord a sud per venire smaltito con i buoni uffici della camorra o della ‘ndrangheta, seguendo anche una "rotta adriatica" e esportando nelle aree non tradizionali la presenza della criminalità organizzata. Una situazione ampiamente documentata dalle, due commissioni Ecomafie che ho presieduto fino al 2001.

Ma quando parliamo delle ‘navi dei veleni' lo scenario assume inevitabilmente una dimensione internazionale, come ho già accennato».

Da quanto sostiene il pentito Fonti sarebbero molti i casi di affondamento, le risulta?

«C'è da precisare, nell'annosa vicenda delle "carrette" a perdere, che gli affondamenti sospetti presso le coste italiane, denunciati nel periodo che va dal 1979 al 1995, riguardano 39 casi.

Attenzione però, le cartine degli affondamenti forniscono solo indicazioni di massima e infatti, nonostante l'impegno della commissione Ecomafie in sinergia con l'azione delle procure più sensibili e attente alla questione, non si cavò un ragno da un buco, incluse le ricerche fatte espletare dall'Anpa per la "Rigel", affondata nel 1987 in prossimità di capo Spartivento nel sud della Calabria (non si trovò nulla: forse non fu felice la scelta della società operativa cui venne affidata la ricerca). Oggi il ritrovamento della Cunsky è il fatto nuovo».

Una volta che i carichi verranno trovati chi dovrà mettere le risorse per la loro rimozione e per le bonifiche e di chi sarà la competenza?

«Penso che da tutto questo scaturiscano alcune precise indicazioni operative. Dal punto di vista giudiziario indagini così complesse, impegnative e costose richiedono il supporto e il coordinamento della procura nazionale antimafia, a partire dalle indagini in corso e da quelle degli anni '90. Questo livello giudiziario esplicita il carattere nazionale del problema e indica nel governo il principale attore per un programma di individuazione e recupero dei relitti con il loro carico. Sperando che in tutti questi anni pressione, erosione e corrosione non abbiano già significativamente aperto la strada alla contaminazione dei veleni».

fonte: grenreport.it

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