martedì 15 settembre 2009

«Dieci casse di esplosivo militare Così ho affondato le navi dei veleni»

«Ave­vamo bisogno di affondare delle navi che ci erano state commis­sionate ed erano al largo di Cetra­ro. Ci serviva un motoscafo per portare l’esplosivo da riva fino al largo». È il 21 aprile 2006 e a Mila­no un magistrato antimafia racco­glie la testimonianza del pentito Francesco Fonti, che dal 1966 fi­no al gennaio del ’94, quando è iniziata la sua collaborazione con la giustizia, ha fatto parte della ’n­drangheta: entrato da picciotto e uscito con la «dote» di vangelo dalla famiglia Romeo, padroni di San Luca. Fonti parla di un episo­dio che fa risalire al 1993: l’affon­damento, con tanto di truffa al­l’assicurazione, di una nave cari­ca di rifiuti radioattivi nel Tirre­no.

Lui c’era e ricorda: «Nelle na­vi in quel momento c’era una cer­ta quantità di fusti che non erano stati smaltiti all’estero...». I moto­scafi li procurò Franco Muto, boss di Cetraro, al quale andaro­no 200 milioni di lire per il distur­bo; dall’Olanda arrivarono una decina di casse di esplosivo mili­tare; il carico finito in fondo al mare, invece, secondo il pentito era di origine norvegese. Al magi­strato racconta i preparativi con Muto: «Ci siamo incontrati in quel negozio di mobili. Spaccaro­telle è il nome del mobilificio. Noi gli abbiamo detto che aveva­mo bisogno di un paio di moto­scafi e lui ha detto: 'No, non ci so­no problemi. Quanto grandi li vo­lete? Da altura, da mezzo mare?'. E ci procurò due motoscafi. Noi caricammo... il materiale esplosi­vo l’avevamo portato da San Luca e, da Cetraro Marina, alla fine del lato Nord, c’erano i motoscafi, fin là si può arrivare anche con le macchine sulla strada interna del lungomare... Abbiamo preso le casse di esplosivo, le abbiamo messe sui motoscafi e siamo par­titi al largo, siamo arrivati alle na­vi, gli autisti dei motoscafi hanno aspettato, noi abbiamo fatto il tra­sbordo e le abbiamo lasciate lì. Il giorno dopo siamo tornati di nuo­vo per sistemare l’esplosivo nei punti dove doveva esplodere per far imbarcare l’acqua e mandarle a fondo. Solamente che affondar­le tutte e tre assieme lì abbiamo pensato che non era tanto intelli­gente, e abbiamo deciso una di farla affondare lì, le altre due di mandarle una verso lo Ionio, a Metaponto, e l’altra verso Mara­tea ». Il magistrato, quasi stupito, gli chiede del viaggio a Metapon­to, e Fonti spiega: «Ma sopra c’era l’equipaggio eh...! Faceva tutto il giro» dello Stretto di Mes­sina.

Qualcuno sostiene che nel Mediterraneo la criminalità organizzata, dagli anni ’80, potrebbe aver affondato decine di navi cariche di veleni. Sono state dise­gnate trame complica­tissime, che coinvolge­rebbero uomini dei ser­vizi, politici, faccendie­ri di tutto il mondo, fra Olanda e Somalia, Cala­bria ed ex Jugoslavia.

Molte cose restano da veri­ficare, ed è difficile. «Ma il velo è squarciato, nessuno può più sostenere che le navi non ci sono», dice Bruno Giorda­no, capo della Procura di Paola dal luglio 2008. È il magistrato che ha riannodato le fila di un’in­chiesta che si trascinava da tem­po. Prima ha scoperto lungo il greto del torrente Oliva, tra Aiel­lo Calabro e Serra d’Aiello, la pre­senza di metalli pesanti, radioatti­vità di origine artificiale, «quanti­tà rilevantissime di mercurio». Poi, mesi fa, sul suo tavolo è arri­vato un documento dell’Arpacal, una rilevazione condotta nel Tir­reno: fuori da Cetraro sottacqua c’era qualcosa di lungo, almeno 80 metri. La Marina non aveva mezzi a disposizione, Giordano si è rivolto a Silvio Greco, assessore all’Ambiente della Regione Cala­bria e biologo marino, che ha tro­vato un robot in grado di ispezio­nare i fondali. E siamo a sabato scorso: a 500 metri di profondità, al largo di Cetraro, nel tratto di mare indicato da Fonti, il robot filma un relitto. «Laggiù la pres­sione è 50 atmosfere — dice Gre­co —: la telecamera ha inquadra­to almeno un fusto quasi del tut­to schiacciato. Gli altri dovrebbe­ro essere nella stiva: ora bisogna capire che cosa contengo­no e come trattarli. Poi vanno cercate le altre due navi di cui parla il penti­to ». Francesco Fonti non fa più parte del program­ma di protezione per col­laboratori di giustizia, si nasconde in centro Italia, ma se il suo rac­conto è attendibile, e ora smentirlo è più dif­ficile, le altre due navi potrebbero trovarsi fra 3 e 5 mila metri di profondità. Oggi Gre­co sarà a Roma, a par­lare con i tecnici del ministero dell’Am­biente. Forse un giorno verrà ascol­tato anche il dottor Giacomino Branca­ti, medico e consu­lente della Procu­ra. La sua relazione fa paura. «Si può confermare l’esistenza di un eccesso statisticamente significa­tivo di mortalità nel distretto di Amantea rispetto al restante terri­torio regionale, dal ‘92 al 2001, in particolare nei comuni di Serra d’Aiello, Amantea, Cleto e Mali­to ». Parla di tumori maligni di co­lon, retto, fegato, mammella. Invi­ta a indagare lungo il corso del­l’Oliva.

Ancora dal verbale di Fonti: «Avvenne di sera, era buio. Erava­mo già gennaio, quindi verso le 7 e mezzo di sera... C’erano dei de­tonatori, però a breve portata, mi sembra 300 metri. Sono stati fatti brillare dal motoscafo». Quante altre volte è successo? E chi ha comprato i servizi della ‘ndran­gheta per liberarsi di rifiuti tossi­ci?

fonte: corriere.it

2 commenti:

Anonimo ha detto...

necessita di verificare:)

Anonimo ha detto...

imparato molto

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