mercoledì 2 settembre 2009

Così le strade e le piste divorano l'Amazzonia

"LA miglior cosa che si potrebbe fare per salvare l'Amazzonia è quella di bombardare le strade". Potrebbero sembrare le parole di un eco-terrorista invece sono quelle di di Eneas Salati, uno dei più rispettati scienziati brasiliani, in un'intervista a New Scientist. E confermate da quelle di Thomas Lovejoy, biologo americano, il quale ha detto che "le strade sono i semi della distruzione delle foreste tropicali".

Le foreste tropicali scompaiono al ritmo paragonabile a circa 50 campi da calcio al minuto. Una distruzione che porta con sé la fine di miriadi di specie viventi, l'aumento di gas serra per miliardi di tonnellate l'anno e, non ultimo, un'incidenza mortale sulle popolazioni delle foreste. Le strade sono alla base dello scempio.

Il Brasile di recente ha completato la BR-163, penetrata nel cuore dell'Amazzonia per circa 1.800 chilometri, dal Mato Grosso fino a Santarém in Pará. Un'altra, la BR-319, inizierà presto a tagliare la foresta per 900 chilometri. Tre altre piste sono in programma per attraversare le Ande, dall'Amazzonia all'Oceano Pacifico. Sono solo le ultime nate, o quelle che stanno nascendo, di un intreccio di piste per lo più non autorizzate, penetrate nella foresta amazzonica per circa 170 mila chilometri, realizzate per lo più da tagliatori di alberi illegali per l'esportazione di mogano e altri legni pregiati.

Lo stesso problema colpisce anche l'Isola di Sumatra e l'Africa centrale. In un articolo apparso su Science risulta che nel bacino del Congo, dal 1976 al 2003, sono state aperte 52 mila chilometri di strade e piste.

Le strade sono fatali per le foreste perché queste ultime hanno una struttura così complessa che anche una pista larga pochi metri può alterarne profondamente le condizioni. A questo si aggiunge la scomparsa della fauna, decimata da auto e camion e dalla presenza umana. Non a caso nel bacino dell'Amazzonia il 95% della deforestazione e degli incendi avviene entro 50 chilometri dalle strade. In Suriname molte delle miniere illegali di oro (fortemente inquinanti) si trovano proprio vicino alle piste. Un esempio è l'autostrada Belem-Brasilia, nata negli anni '70: oggi una fascia di foresta di 400 chilometri, ai suoi lati, risulta totalmente compromessa.

Ancor più importante è l'impatto sulle popolazioni indigene. Nuove foto aeree hanno svelato la presenza di disboscatori clandestini all'interno di una riserva amazzonica istituita per gli indios isolati e quindi altamente vulnerabili. Le immagini mostrano gli accampamenti dei disboscatori all'interno della Riserva Murunahua, creata in Perù nel 1997. Secondo i funzionari della Funai (Fundaçao Nacional do Indio), i disboscatori stanno facendo fuggire gli abitanti della riserva dal Perù verso il confine brasiliano.

Alcuni Murunahua sono già entrati in contatto con i disboscatori e per questo è deceduto circa il 50% della tribù. Proprio nelle ultime settimane è stato segnalato il primo caso di influenza H1N1 tra gli indiani amazzonici. Il virtus sarebbe stato diffuso proprio dai disboscatori. Secondo il Dipartimento sanitario regionale di Cusco, infatti, sono risultati positivi al virus sette membri della tribù dei Matsigenka che vivono lungo il fiume Urubamba, nell'Amazzonia peruviana. Il rischio è quello di un'epidemia devastante tra popoli che non hanno difese immunitarie nemmeno contro le più comuni malattie.

"Sono necessari studi approfonditi sulle conseguenze che l'apertura di una strada può arrecare all'ambiente e alle popolazioni di una foresta - spiega William Laurance della James Cook University di Caims, Australia - e poi troppo di frequente non si valutano le ricadute di una strada quando si fanno grandi opereconseguenze della realizzazione di una strada nel cuore delle foreste come una diga o un altro grande progetto. Esistono esempi significativi. Come la strada di alta velocità prevista tra Colombia e Panama che andrebbe a intaccare un'area molto importante, la Chocò-Darien. Un altro esempio è la BR-319: se costruita, potrebbe lacerare l'Amazzonia centrale come una cerniera".

fonte: repubblica.it

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