mercoledì 21 novembre 2007

Balene, caccia grossa al polo sud

Sono partite all'assalto nel più totale anonimato, spegnendo i segnali radio che permettono di identificare le navi. Tra un mese arriveranno a destinazione, nell'area antartica, per festeggiare il Natale massacrando balene. Sono le otto imbarcazioni che costituiscono la flotta da caccia giapponese: quattro catcher per inseguire e uccidere le prede, una nave fattoria per macellare i più grandi animali del mondo, un paio di ricognitori e una barca appoggio.

Gli arpioni nipponici si muovono verso Sud con l'obiettivo di uccidere più di mille balene in nome della scienza. Tokyo non può violare formalmente la moratoria che è stata decisa vent'anni fa dalla Commissione baleniera internazionale allo scopo di evitare la rapida estinzione di Moby Dick: la sua è ufficialmente una missione di studio. Ma una balenottera comune (che noi chiamiamo così perché si trova anche nel Mediterraneo anche se ormai è tutt'altro che comune) pesa tra le 60 e 80 tonnellate: sembrerebbe offrire materiale sufficiente per dare lavoro a parecchi laboratori, eppure da due decenni la flotta giapponese uccide "per motivi scientifici" centinaia di balene l'anno.

Questa volta Tokyo ha alzato il tiro: nel mirino degli arpioni entreranno non solo 935 balenottere minori e 50 balenottere comuni ma per la prima volta anche 50 megattere, una specie rara e amatissima dagli appassionati di whalewatching. Gli australiani le conoscono per nome e le identificano al passaggio: il prossimo anno ne identificheranno qualcuna in meno.

"E' un massacro condotto in nome di un concetto distorto delle tradizioni nazionali, di usanze alimentari scomparse da molti decenni", accusa Alessandro Giannì, il responsabile mare di Greenpeace. "Nonostante anni di campagne di promozione nelle scuole, il rito del sushi di balena è morto. Il 95 per cento dei giapponesi non ha mai mangiato carne di balena o l'ha assaggiata solo per curiosità. E quindi l'industria privata non potrebbe sostenere una campagna così costosa. Paga il governo: 50 milioni di dollari per tenere il punto. Ma gli islandesi, gli unici altri, assieme ai norvegesi, a praticare questo massacro, hanno preferito smettere ammettendo che non c'è mercato per la carne di balena".

Il mercato manca e le balene pure. Delle 250 mila balenottere azzurre che battevano i mari del Sud è rimasta solo una piccola rappresentanza: circa 3 mila esemplari. Ancora meno le balene boreali: mille. In tutto il mondo resta probabilmente un milione di esemplari, forse meno.

La loro sorte è appesa al filo degli equilibri politici all'interno della Commissione baleniera internazionale, una struttura nata nel dopoguerra che nel 1963 ha deciso la moratoria per la caccia alle megattere e nel 1987 ha esteso l'alt a tutte le specie. Negli ultimi anni però il pressing guidato dal Giappone e sostenuto da Norvegia e Islanda ha fatto crescere i voti a favore degli arpioni. Per la ripresa della caccia si sono schierati piccoli paesi in via di sviluppo i cui destini economici sono legati agli scambi commerciali con Tokyo.

Se la moratoria venisse interrotta è probabile che la mattanza durerebbe poco per mancanza di materia prima. Le stime sulle popolazioni di balene sono molto approssimative: i veri numeri potrebbero essere più bassi. Anche perché ai due secoli di caccia indiscriminata si sono aggiunte altre minacce. In primo luogo l'inquinamento da petrolio, metalli pesanti, diossine e pcb che ha prodotto risultati paradossali: pochi mesi fa il corpo di una balena finito su una spiaggia tedesca è stato smaltito come rifiuto speciale perché conteneva una percentuale consistente di inquinanti.

Poi ci sono le collisioni con le navi e le catture accidentali nelle spadare e in altre reti killer. Infine il disastro atmosferico. Da una parte l'indebolimento dello scudo di ozono, dall'altra l'aumento dell'effetto serra che ha modificato il ciclo vitale nell'area antartica favorendo le meduse e facendo diminuire il plancton di cui si nutrono le balene.

"Il cambiamento climatico sta mettendo in crisi ovunque l'equilibrio del mare e la sopravvivenza dei grandi cetacei e questa è una ragione in più per moltiplicare le misure di protezione", ricorda il ministro dell'Ambiente Alfonso Pecoraro Scanio. "E da questo punto di vista ci sono anche buone notizie. Oggi abbiamo raggiunto un accordo con il governo tunisino e con quello di Malta per creare nel Canale di Sicilia un secondo santuario per le balene dopo quello istituito tra la Costa Azzurra, le Bocche di Bonifacio e la Liguria. E' una decisione importante perché l'area tra Lampedusa e la Tunisia è un grande serbatoio di biodiversità, una nursery del Mediterraneo".

fonte: repubblica.it

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