giovedì 29 novembre 2007

Le sanzioni nell’utilizzo di lavoratori irregolari di competenza del giudice tributario

Con ordinanza del 19 – 23 novembre 2007, n. 395, la Corte costituzionale ha dichiarato che non poteva essere ammessa la questione di legittimità costituzionale dell’art. 7, comma 4 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (in materia di “Poteri delle commissioni tributarie”: che testualmente cita: “Non sono ammessi il giuramento e la prova testimoniale”…) nella parte in cui non consente di ammettere la prova per testimoni nel processo tributario.
La citata ordinanza, dunque, non ha esaminato il problema della ammissibilità dei testi al processo tributario nel citato procedimento di incostituzionalità perché sul punto la legge è chiara. Al contrario, la Corte ha affrontato un altro punto controverso e propedeutico al ricorso: quello relativo alla giurisdizione n ordine alle controversie relative alle sanzioni amministrative per l’utilizzo di lavoratori irregolari.

Fatto e diritto - La questione era sorta nel corso del giudizio di impugnazione del provvedimento con cui l’Agenzia delle entrate di Milano aveva irrogato, nei confronti di un titolare di un salone per parrucchiere, la sanzione pecuniaria dovuta all’utilizzo di una lavoratrice non risultante dalle scritture obbligatorie, prevista dall’art. 3, comma 3, del D.L. 22 febbraio 2002, n. 12 “Disposizioni urgenti per il completamento delle operazioni di emersione di attività detenute all’estero e di lavoro irregolare”, convertito dalla legge 23 aprile 2002, n. 73).
L’irrogazione della sanzione amministrativa prevista per l’utilizzo di lavoratori irregolari per il citato D.L. n. 12 del 2002 (convertito, con modificazioni, dalla L. n. 73 del 2002) spettava all’Agenzia delle Entrate, ma per l’art. 36bis, comma 7, lett. b), del D.L. n. 223 del 2006 (che lo ha sostituito) l’irrogazione di tale sanzione toccava alla DPL territorialmente competente.
La Commissione tributaria provinciale di Milano aveva sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 7, comma 4, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della L. 30 dicembre 1991, n. 413) nella parte in cui esclude la prova testimoniale dall’ambito dei mezzi istruttori utilizzabili nel processo tributario.
Le ragioni del datore di lavoro
Il titolare del salone per parrucchiere aveva contestato che la sanzione fosse stata calcolata per 7 mesi sostenendo che il rapporto di lavoro irregolare aveva avuto inizio soltanto pochi giorni prima della constatazione dell’infrazione e, dunque, aveva chiesto di essere ammesso a provare con testimoni tale circostanza.
La disposizione censurata avrebbe violato il diritto di difesa perché il ricorrente “potrebbe difendersi solo provando con testi il “fatto” sul quale ha fondato la domanda” e contrasterebbe altresì con l’art. 111, secondo comma, Cost., perché le parti non sarebbero in condizioni di parità, essendo riconosciuta solo all’amministrazione la possibilità di «usufruire di dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale”.
Il gestore del salone ha quindi ritenuto che l’ammissione dei testimoni fosse estremamente rilevante ai fini della causa.

La decisione della Corte Costituzionale - Per la Corte Costituzionale, che si sarebbe già pronunciata con precedenti ordinanze sul divieto di prova testimoniale nel processo tributario, l’esclusione della prova per testi dal processo tributario sarebbe frutto di una precisa scelta del legislatore, giustificata dalla peculiarità della materia tributaria e dalla sostanziale inutilità di una prova priva della attendibilità della prova documentale.
La citata ordinanza, mentre non ha esaminato quindi il problema della ammissibilità dei testi al processo tributario nel citato procedimento di incostituzionalità perché sul punto la legge è chiara, ha invece affrontato un altro punto controverso e propedeutico al ricorso: quello relativo alla giurisdizione n ordine alle controversie relative alle sanzioni amministrative per l’utilizzo di lavoratori irregolari.
La Corte Costituzionale ha fatto quindi rilevare come il giudice remittente abbia tenuto conto, “sia pure implicitamente”, delle modifiche normative intervenute nel corso del giudizio, e che, anteriormente ad esse, le controversie in esame appartenessero alla giurisdizione tributaria.
Al riguardo dice la Corte Costituzionale che sono rilevabili due orientamenti giurisprudenziali. Il primo stabilisce la competenza del giudice tributario competente su “tutte le controversie aventi ad oggetto sanzioni amministrative, comunque irrogate da uffici finanziari”, mentre l’altro orientamento, del tutto diverso, stabilisce che, per le controversie connesse a tributi per l’utilizzo dei lavoratori irregolari, non debba essere competente la Commissione tributaria, in quanto l’elusione avrebbe per oggetto gli oneri contributivi e la violazione di norme previdenziali.
La Corte Costituzionale ha fatto rilevare che il giudice remittente avrebbe dovuto verificare la possibilità di seguire una diversa interpretazione conforme alla Costituzione, “valorizzando, in particolare, la natura tributaria del rapporto cui deve ritenersi imprescindibilmente collegata la giurisdizione del giudice tributario”, ha, quindi, dichiarato la manifesta inammissibilità della questione sollevata per difetto di motivazione in quanto il giudice che ha sollevato la questione non avrebbe espressamente motivato la riconducibilità alla giurisdizione tributaria della controversia sottoposta al suo esame, nonostante non esistessero a tale riguardo orientamenti univoci.

Corte costituzionale, ordinanza n. 395 del 19 – 23 novembre 2007
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fonte: newsfood.it

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