lunedì 25 maggio 2009

Dal Ponte sullo Stretto al Mose Bloccate le nomine dei 16 commissari

La lista dei sedici nomi era pronta. Qualche al­to papavero ministeriale, qualche superburocrate, qual­che tecnico. Pronti per avere il bollo del governo: commis­sari alle grandi opere pubbli­che. Uno per ognuna delle in­frastrutture strategiche per il Paese. Impacchettata per il via libera del Consiglio dei ministri della scorsa settima­na, all’ultimo momento è sta­ta rimessa nel cassetto. Tutto rimandato. A quando? Appe­na possibile. Ma a questo punto, settimana più, setti­mana meno… Da quando il governo ha varato il decreto anticrisi con le misure urgenti (urgenti!) per far ripartire l’economia, fra cui figura proprio (artico­lo 20) l’istituzione dei com­missari per mettere il turbo al­le opere infrastrutturali che procedono a passo di lumaca, sono passati sei mesi. Quat­tro, invece, da quando il Parla­mento ha convertito definiti­vamente in legge il provvedi­mento. Ma dei famosi com­missari nemmeno l’ombra. Si dirà che per i tempi italiani, dove le decisioni si prendono al ritmo delle ere geologiche, quattro o sei mesi non sono niente. Peccato soltanto che gli effetti della crisi non aspet­tino i comodi della nostra bu­rocrazia.

Negli ambienti della mag­gioranza, dove i commissari vengono ovviamente difesi a spada tratta, si rigetta la tesi che tutto si sia bloccato a cau­sa di contrasti politici o scon­tri fra poteri. I continui rinvii avrebbero a che fare piutto­sto con altre questioni. Prima è sorto il problema di defini­re con esattezza le risorse a di­sposizione per il nuovo piano di infrastrutture: a un certo punto era stata ventilata l’eventualità di dirottare lì una parte dei soldi non utiliz­zati per gli ammortizzatori so­ciali. Poi c’è stato il terremoto dell’Abruzzo, che ha oggetti­vamente complicato tutto. Con la conseguenza di rende­re più difficile la decisione sulle opere da accelerare. Qua­li affidare ai commissari? Il Ponte sullo Stretto di Messi­na? La Salerno-Reggio Cala­bria? Oppure il Mose? O ma­gari la fantomatica autostra­da Livorno-Civitavecchia, che sta tanto a cuore al mini­stro delle Infrastrutture Alte­ro Matteoli, sindaco di Orbe­tello? Inutile dire che anche qui c’è stato un bel tira e mol­la.

Non che non ci siano an­che altri problemini. Vero è che i nuovi commissari si so­no visti accrescere i poteri ri­spetto ai loro precedessori. Per esempio, potranno agire in deroga ad alcune norme vi­genti, in caso di necessità. Ma anche intervenire quando ci si trovi di fronte a ritardi in­giustificati. E perfino propor­re la revoca dei finanziamen­ti. Senza però avere in mano i cordoni della borsa, che resta­no saldamente in pugno alle cosiddette «stazioni appaltan­ti »: le Ferrovie, l’Anas… Un meccanismo che rischia di mettere oggettivamente i commissari in contrasto con i vertici di quelle «stazioni ap­paltanti ». Ecco perché Ange­lo Cicolani, ex direttore gene­rale dell’Astaldi, parlamenta­re del Pdl considerato fra i massimi esperti di questo set­tore, aveva suggerito di nomi­nare commissari proprio lo­ro. Soluzione ora sempre pos­sibile, ma non esplicitamente prevista.

Esiste poi una pattuglia di burocrati frenatori che, in centro e in periferia, ha sem­pre considerato i commissari un’inutile iattura, buona sol­tanto a pestare i piedi ai prov­veditori alle opere pubbliche. Insomma, non manca nem­meno chi, sotto sotto, non ha mai smesso di remare contro. C’è da dire che i precedenti non sono esaltanti. I commis­sari alle grandi opere sono un’invenzione del primo go­verno di Romano Prodi, mini­stro l’ex sindaco di Venezia Paolo Costa. Senza grandi ri­sultati. Non migliore fu l’espe­rienza dei commissari nomi­nati nel 2003 dal secondo go­verno di Silvio Berlusconi, che con la legge obiettivo con­tava di rinverdire (parole del­l’ex ministro delle Infrastrut­ture Pietro Lunardi) i fasti del Colosseo e delle Piramidi. «Avevano poteri limitati. E so­no serviti concretamente in poche occasioni», ricorda og­gi uno di loro: Aurelio Misiti, ex presidente del consiglio su­periore dei Lavori pubblici, assessore della Regione Cala­bria, attualmente parlamenta­re dell’Italia dei Valori. Allora i commissari si dividevano cinque macroaree. A Misiti toccò il Sud e la Sicilia. Ma do­po qualche tempo si dimise in polemica con il governo avendo preso atto che, nono­stante quanto era scritto nel piano delle grandi opere, non c’era alcuna intenzione di rea­lizzare l’alta velocità ferrovia­ria fra Salerno e Palermo. Il secondo governo di Ro­mano Prodi, estremamente diffidente nei confronti del piano infrastrutturale berlu­sconiano e diviso al proprio interno, dove i Verdi esercita­vano un notevole potere di condizionamento, ereditò con il massimo scetticismo quei commissari. E alla sca­denza degli incarichi non li rinnovò: da allora sono passa­ti più di due anni.

fonte: corriere.it

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