martedì 19 maggio 2009

Nel pubblico la busta paga cresce di più Aumenti del 47%, il doppio dei privati

Che i lavoratori italiani siano fra i meno pagati dei Paesi industrializzati, come ora dice anche la classifica dell’Ocse dove occupano soltanto la ventitreesima posizione, non è certamente una novità. I sindacati lo gridano ormai da qualche anno ai quattro venti, e anche il governatore della Banca d’Italia Mario Draghi lo ripete pressoché a ogni occasione pubblica. Ma i dipendenti pubblici, almeno loro, si possono consolare: stanno recuperando. Secondo uno studio ancora inedito della Confartigianato, fra il 2000 e il 2007 le retribuzioni «per unità di lavoro dipendente» in tutta la pubblica amministrazione sono infatti aumentate del 47,3%.

Non che insegnanti, poliziotti e infermieri siano improvvisamente diventati dei nababbi. In Italia le retribuzioni del pubblico impiego non sono mai state (tranne rari casi) propriamente stratosferiche. Non lo erano nel 2000 e non lo sono ora. Ma difficilmente l’aumento degli ultimi anni potrebbe passare inosservato. Tanto più considerando che i salari italiani, sempre calcolati «per unità di lavoro dipendente», sarebbero cresciuti nel loro complesso durante lo stesso periodo del 23,2%. Meno della metà rispetto alle paghe del settore pubblico. E siccome fra il 2000 e il 2007 l’inflazione ufficiale si è mangiata il 18,6% del potere d’acquisto, ciò significa che a un aumento «reale» di poco più del 4% per tutti i salari avrebbe corrisposto, prendendo per buoni i dati della Confartigianato, un aumento «reale» di quasi il 29% per le retribuzioni pubbliche. Gli stipendi per i 3 milioni 382.341 dipendenti (il 54,3% donne) assorbono il 21,9% della spesa pubblica.

Fra il 2000 e il 2007 il numero dei lavoratori stipendiati nel settore pubblico è salito del 3% mentre la spesa per le retribuzioni lievitava del 32,5%, dieci volte di più. In cifra assoluta, 164,6 miliardi di euro. È il 10,7% del Prodotto interno lordo. Inoltre l’incidenza sul Pil è cresciuta di mezzo punto rispetto al 2000, seguendo una dinamica contraria a quella di altri Paesi europei. In Germania, per esempio, il peso delle retribuzioni pubbliche sul Pil si è ridotto nello stesso periodo dell’1,2%, mentre in Francia, Paese nel quale la pubblica amministrazione ha un ruolo rilevantissimo, la flessione è stata dello 0,6%. I dipendenti pubblici italiani non nuoteranno nell’oro, ma in alcune aree le loro buste paga offrono un contributo economico determinante. La Calabria, per esempio. I dipendenti pubblici calabresi sono il 30,4% di tutti i lavoratori dipendenti della regione. Nella provincia di Catanzaro si arriva al 43,6%, ben oltre il 26,9% di Roma, la città dei ministeri e della politica, superata perfino da Crotone (30,9%), oltre che da Palermo (32,2%), Enna (29,7%), Campobasso (29,4%) e Reggio Calabria (28,7%).

Non molto diversa è la situazione della Campania, dove il «pubblico» retribuisce il 28,1% dei lavoratori dipendenti dell’intera regione, con punte del 31,9% a Napoli. In Valle d’Aosta gli stipendi pubblici sono invece il 29% del totale, nel Molise il 27,4%, in Sicilia il 27%, in Sardegna del 25,4%. Percentuali più che doppie in confronto alla Lombardia, regione nella quale i dipendenti pubblici, pur raggiungendo la cifra più elevata in assoluto (sono 418.598, contro i 406.753 del Lazio, al secondo posto, e i 340.453 della Campania, al terzo) non rappresentano che il 12,6% della forza lavoro stabile. Il livello più basso d’Italia. A Milano sono il 14,4%. A Lodi, il 10,5%. Seguono Lecco (9,8%) e Bergamo (9,6%). La provincia con la minore incidenza di dipendenti pubblici sugli occupati totali è Como: 9,2%

fonte: corriere.it

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