giovedì 21 maggio 2009

L´acquedotto Italia continua a fare...acqua: perdite medie del 30%

In una interessante inchiesta apparsa oggi sul Sole24Ore.com si torna a parlare di acqua nel settore idropotabile e delle sue inefficienze di gestione. Sotto i riflettori ancora una volta sono finite le perdite delle reti di distribuzione che in base ai dati parametrati su numeri ufficiali del Co.Vi.Ri. (Comitato per la Vigilanza sull´uso delle Risorse idriche), ammonterebbero a circa 2,61 miliardi di metri cubi di acqua all’anno, corrispondenti ad una media del 30% su territorio nazionale. Ricordiamo che le perdite idriche si dividono in perdite reali (volumi di acqua effettivamente fuoriusciti dalla rete, e per questi è necessario poi valutare se escono effettivamente dal ciclo idrico), e perdite apparenti (volumi idrici erogati all’utenza ma che sfuggono alla contabilizzazione e/o alla fatturazione, riferibili a consumi non autorizzati, a consumi stimati a forfait per utenze senza contatori, ad imprecisioni di misura dei contatori…).

Come si intuisce quindi una differenza tra le due tipologie di perdite esiste. In ogni modo il problema è reale e porta a conseguenze dirette sul piano economico. Sempre in base alla tipologia di calcolo impostata nell’articolo citato, si parla di 226 milioni di euro buttati via ogni anno. Questa criticità, che riguarda a questi livelli in particolare il nostro Paese tra quelli più avanzati, è nota e riconosciuta come testimonia la stessa normativa che da tempo se ne fa carico. Già a partire dal 1994 (Legge Galli e suo successivo regolamento attuativo), viene esplicitato che sono ritenute accettabili perdite nelle reti di adduzione e distribuzione non superiori al 20%. In caso contrario si deve intervenire. Le ultime indicazioni sono poi inserite nella Delibera Cipe (Comitato Interministeriale per la programmazione economica) 57/2002 “Strategia d’azione ambientale per lo sviluppo sostenibile” dove si parla di un obiettivo di riduzione delle perdite da attuare attraverso un sistema di interventi. A livello internazionale poi un gruppo di lavoro dell’Iwa (International water association) ha sviluppato una serie di concetti e di buone pratiche gestionali (Best management practices) per il controllo delle perdite nelle reti di distribuzione dell’acqua potabile, che là dove applicate, hanno dato buoni frutti.

Del resto i gestori hanno “accettato” di inserire nei criteri di valutazione indicatori di prestazione come ILI (Infrastructure Leakage Index, rapporto tra le perdite reali annue e le perdite inevitabili annue del sistema) e di inserire nei piani operativi obiettivi di riduzione delle perdite. Nel nostro Paese non siamo certo all’avanguardia ma qualcosa si sta muovendo in Emilia, in Piemonte ed alcune sperimentazioni interessanti sono state fatte anche in Toscana (da Acque Spa nel pisano).

I gestori osservano che anno dopo anno le perdite aumentano dato la vetustà delle reti (hanno una vita media di circa 30 anni) ma non ci sono soldi per intervenire. Sempre secondo dati riportati nell’articolo del sole24Ore la media europea degli investimenti per garantire un sistema efficiente è di 274 euro al metro cubo di acqua mentre in Italia, questo valore si aggirerebbe sui 107 euro. E’ vero che i soldi specialmente in periodo di crisi non abbondano, ma è noto che il “sistema Italia” non investe in servizi e soprattutto non investe in manutenzione. I gestori riuniti in Federutility dichiarano che sono disponibili 10 miliardi di euro per interventi sulla rete di cui cinque cantierabili nei prossimi 5 anni. A loro modo di vedere la colpa dei tempi lunghi è data da vincoli amministrativi, politici, burocratici e da una normativa che limita gli investimenti, dato che il sistema tariffario prevede un tasso d’incremento basso (con una remunerazione del 7%) e in assoluto in Italia le tariffe sono tra le meno elevate d’Europa. Per quanto attiene le tariffe nessuna titubanza a penalizzare attraverso aumenti chi abusa e spreca una risorsa divenuta ormai preziosa, ma sinceramente pare impensabile coprire gli investimenti necessari nel settore idrico con la tariffa (non ci sono solo le perdite di rete); è necessario un intervento dello Stato a sostegno del settore, come ormai ritengono in molti (del resto è già stato fatto per Alitalia e per le banche…) e introducendo in parte la fiscalità generale.

Ovviamente lo Stato dovrebbe sostenere economicamente un sistema di governo pubblico della risorsa idrica che garantisca l’interesse generale, in cui si superino i conflitti di interesse tra sistema di regolazione e gestione e dove si istituisca un apparato di controllo indipendente ed altamente qualificato, che preveda parallelamente la partecipazione dei cittadini, vera garanzia di un buon funzionamento del sistema. Questo settore tra l’altro, come quello della tutela del territorio può diventare strategico per creare occupazione stabile e contribuire in modo sostenibile al superamento della crisi.

fonte: greenreport.it

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