Il federalismo fiscale è legge, ma ci vorranno almeno cinque anni (e diversi decreti attuativi) per l’entrata a pieno regime delle nuove norme che ridisegnano la mappa dei meccanismi delle imposte nel nostro paese, che andrà attuato però senza perdere di vista il principio della solidarietà con le autonomie locali più deboli.
Obbiettivo primario del federalismo è quello di garantire piena autonomia di entrata e di spesa agli enti locali in modo da sostituire, seppure in modo graduale, il criterio della spesa storica con quello dei costi standard per tutti i servizi fondamentali del paese.
Dunque il fisco diventerà «su misura» nel rispetto dei principi di capacità contributiva e progressività che sono scritti nella carta costituzionale. Resta fermo il principio di non aumentare la pressione fiscale e la riforma non potrà e non dovrà causare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
Nella legge che sancisce il federalismo fiscale è prevista anche l’istituzione di nove città metropolitane, nelle quali andranno a scomparire le rispettive province. Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria, dovranno costituire quindi un nuovo ordinamento a cui verranno trasferite tutte le funzioni e le risorse umane, strumentali e finanziarie prima di competenza delle amministrazioni provinciali e dovranno essere previste le nuove perimetrazioni.
Con specifico decreto legislativo è assicurato il finanziamento delle funzioni delle città metropolitane mediante l’attribuzione ad esse dell’autonomia impositiva corrispondente alle funzioni esercitate dagli altri enti territoriali e il contestuale definanziamento nei confronti degli enti locali le cui funzioni sono trasferite, anche attraverso l’attribuzione di specifici tributi, in modo da garantire loro una più ampia autonomia di entrata e di spesa in misura corrispondente alla complessità delle medesime funzioni. Il medesimo decreto legislativo assegna alle città metropolitane tributi ed entrate propri, anche diversi da quelli assegnati ai comuni, nonché disciplina la facoltà delle città metropolitane di applicare tributi in relazione al finanziamento delle spese riconducibili all’esercizio delle loro funzioni fondamentali.
La proposta d’istituzione delle are metropolitane spetta al comune capoluogo insieme alla provincia ( o ad una quota dei comuni che vi fanno parte) o alla provincia stessa assieme ad una quota di comuni, dovrà essere approvata dalla regione e passerà al vaglio di un referendum (senza quorum) tra i cittadini.
Che cosa cambia per le Regioni? Le funzioni fondamentali da esse erogate anche in virtù della riforma dell’articolo V° della Costituzione (l’assistenza, la sanità e le spese amministrative che riguardano il comparto dell’istruzione) saranno assicurate attraverso: il gettito tributario valutato ad aliquota e base imponibile uniformi, l’addizionale regionale Irpef, la compartecipazione all’Iva, le quote di fondo perequativo (che serviranno a ridurre le differenze tra i territori con diverse capacità fiscali per abitante), l’Irap che rimarrà solo in via transitoria, dato che questa imposta è destinata a scomparire.
Fermo restando che ci vorranno quindi alcuni anni prima di vedere compiersi la definitiva trasformazione in chiave federalista, c’è da chiedersi quali potrebbero essere i risvolti nel campo della sostenibilità da una nuovo assetto quale quello previsto.
Ne abbiamo discusso con Francesco Ferrante, dell’esecutivo degli Ecologisti democratici.
Il federalismo fiscale potrà fornire strumenti utili per orientare uno sviluppo su basi sostenibili?
«Lo spostamento dei contributi da un sistema centralizzato ad uno federalista è in sé una cosa abbastanza neutra rispetto agli obiettivi di sostenibilità, se si possono ricondurre ad uno spostamento del peso fiscale facendolo gravare di più sul consumo di materia e quindi di risorse, per alleggerirlo sul reddito da lavoro e da impresa. Nel senso che si può fare con entrambi i modelli.
Dopodichè è vero che da Rio De Janeiro, che è stato il luogo d’invenzione dell’Agenda 21 locale, in poi è diventato evidente che le politiche in difesa del territorio e dell’ambiente si debbono nutrire della partecipazione a scala locale per essere maggiormente implementate. Da questo punto di vista se il federalismo fiscale verrà esercitato per avvicinare il luogo della spesa delle risorse che provengono dalle tasse di cittadini ai cittadini medesimi, questo potrà essere un elemento di aiuto a politiche di sostenibilità».
La tematica ambientale impegna Stati ed enti locali attraverso la produzione di accordi internazionali e sopranazionali, che spesso richiedono una applicazione a scala regionale. I tributi ambientali potranno rappresentare una modalità per rendere effettivi questi accordi da parte delle regioni?
«Quando si prendono accordi internazionali per abbassare le emissioni di CO2 o per implementare il ricorso alle energie rinnovabili, se non si ricorre anche ad un burden sharing da parte delle regioni, la legislazione nazionale non basta. E questo è anche previsto dalla legislazione. Quindi se ci fosse una maggiore connessione tra le entrate tributarie e se queste fossero più dirette vero quegli obiettivi potrebbe essere un aiuto. Ma il condizionale è d’obbligo perché per il momento il federalismo fiscale è più una scatola vuota che altro e se non si scioglie il nodo se si vuole favorire le zone ricche e lasciare tutto com’è nelle aree più svantaggiate o se invece si vuole fare il contrario, non si risolve il problema».
Cacciari, da sempre sostenitore del federalismo, sta preparando un proposta in cui si prevede la compartecipazione dei comuni all’Iva, che consenta di basarsi su un criterio fiscale più legato ai consumi locali e l’introduzione di tasse di scopo. Pensa che questi due strumenti potrebbero essere utilizzati per guidare orientare verso una maggiore sostenibilità nei consumi e nei comportamenti?
«E’ evidente che una tassa di scopo è utile agli obiettivi di sostenibilità ambientale perché può aiutare a tassare i consumi ma è altrettanto evidente che non possiamo far finta che non sia un problema di giustizia sociale e che è comunque necessario mantenere servizi sociali in aree più povere. Quindi o si sceglie di far pesare di più il meccanismo delle perequazioni oppure il nodo rimane. La proposta dell’Iva ai comuni può andare bene per realtà come Venezia, ma vorrei capire se può andare altrettanto bene anche a Canicattì, ma ho l’impressione di no. Secondo me risponde ancora ad una logica di favorire le aree più ricche e non risolve i problemi di quelle più svantaggiate. E questo è un nodo ineludibile da sciogliere».
fonte: greenreport.it
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martedì 5 maggio 2009
Il federalismo fiscale sarà anche sostenibile? Per Ferrante le potenzialità ci sarebbero...
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