lunedì 19 ottobre 2009

Togliersi il carbone dalla testa

Diciamoci la verità: le rinnovabili sono un affare! Macché frugare pericolosamente nel sottosuolo di paesi remoti o addirittura in fondo al mare per estrarne materiali carboniosi solidi liquidi e gassosi da trasportare in giro per il pianeta, fino a dove vengono raffinati e/o consumati: la produzione energetica si fa a casa propria, una decina di pannelli sul tetto e/o una turbina di fianco a casa et voilà, il gioco è fatto, energia gratis e in alcuni casi anche un po’ di soldini. Fosse tutto così facile saremmo in un mondo migliore, dove non si combattono sanguinose guerre del petrolio, come in Iraq, non si muore in miniera, come in Cina, e non saltano per aria le stazioni ferroviarie, come in Italia. Saremmo in un mondo dove non si aspetta con ansia il risultato della prossima conferenza sul clima per sapere se vivremo in una pentola in ebollizione invece che in un pianeta abitabile, dove il mare non invade le città costiere perché il ghiaccio dei poli non si scioglie tutto in qualche decennio, dove gli uragani restano un’eccezione invece che diventare una norma, dove le popolazioni riescano a campare a casa propria invece di fuggire in massa dalle siccità e dalle alluvioni.
Invece il mondo è quello che è, 85 milioni di barili di petrolio bruciati ogni giorno, gasdotti algerini e siberiani, lunghe file di navi che ogni giorno caricano carbone in Australia per portarlo in Cina (sì, avete letto bene, l’industrializzazione cinese è così veloce – e, aggiungiamo, energeticamente inefficiente – che la produzione nazionale di carbone non basta più e loro si riforniscono in Australia, che vanta le più gigantesche miniere a cielo aperto del pianeta).
Ma visto che le rinnovabili sono un affare, com’è che siamo in questo stato di cose? Beh, intanto c’è il problema della domanda sempre crescente di energia da parte di una popolazione che nel mondo si avvia a toccare i 7 miliardi, e che, soprattutto nei paesi industrializzati, ma anche in quelli cosiddetti emergenti, pare sempre più insaziabilmente consumista. Volete un solo esempio, piccolo piccolo e molto vicino? L’acqua minerale, un tempo era in vetro e la vedevi solo al ristorante, ora è un feticcio che se non hai la bottiglietta sul tavolo o in borsa corri subito alla più vicina macchinetta a scaricarne fuori un’altra. Bene, tra la produzione della bottiglia di plastica e il suo trasporto fino alla suddetta macchinetta, per non parlare della refrigerazione e poi dello smaltimento del rifiuto, l’acqua minerale costa energeticamente fino a duemila volte più di quella del rubinetto. Ogni giorno solo in Italia se ne consumano decine di milioni di pezzi, una roba che anche solo dieci anni fa non esisteva proprio (e di sete non moriva nessuno).
In pratica le rinnovabili crescono, e anche in fretta, ad esempio l’eolico in Italia nel 2008 ha fatto un bel 30% in più, con circa mille nuovi megawatt installati, e anche il fotovoltaico ha messo a segno un +250 megawatt, ma di fronte alle dimensioni del consumo elettrico, spinto da qualche anno soprattutto in estate (stagione in cui fino a una decina d’anni fa si segnavano sempre i consumi minimi) dall’enorme aumento dei condizionatori, presenti in tutti i luoghi pubblici, e ormai anche in moltissime case private, l’effetto è quasi trascurabile. Certo siamo lontani dalla Spagna, che in quest’ultimo decennio ha installato così tanto eolico da riuscire a coprire nel 2008 l’11% del proprio fabbisogno elettrico, con punte fino al 43%. Ma in Spagna non hanno Sgarbi che tuona contro la devastazione del paesaggio, si vede che lui vive in qualche luogo incontaminato, non nella stessa Italia abusiva e cementificata dove siamo noi. Oppure non hanno Di Pietro, che nei manifesti elettorali mette le pale eoliche, ma quando si parla della centrale eolica marina in Molise si mette di traverso e tuona come Sgarbi. A proposito, secondo la ministra Prestigiacomo quella centrale invece si può fare, di recente ne ha positivamente licenziato la valutazione d’impatto (assieme a non so quanti nuovi impianti petrolchimici e centrali a carbone…) . Siamo anche lontani dagli Stati Uniti, dove il nuovo ministro dell’energia ha il Nobel per la fisica, dove hanno installato potenza eolica per 8000 e passa megawatt in un solo anno (a onor del vero anche la UE dei 27 ha fatto lo stesso), e dove c’è anche stato un mostruoso stanziamento federale per l’ammodernamento e l’interconnessione delle reti elettriche (4 miliardi e mezzo di $!). Già, perché per puntare alle rinnovabili bisogna mettere a posto la rete, un concetto che qui da noi non è che sia tanto chiaro, se è vero che per esempio in Sicilia la rete è la stessa di cinquant’anni fa, proprio nella regione che, con tutto il vento e il sole che ha, a rigore potrebbe nel giro di pochi anni rifornire di corrente il continente invece di farsene portare come succede adesso.
Per non parlare sempre male della Cina, le rinnovabili crescono da matti anche là, con la complicazione che i cinesi, nasato il business, si sono messi a produrre masse di pannelli e impianti da esportare in tutto i modo ai loro soliti prezzi stracciati, con gran fastidio di Obama che sull’industria delle rinnovabili e la sua espansione interna punta per rimediare almeno in parte all’enorme disoccupazione causata dalla crisi economica che si è abbattuta sull’economia di tutto il mondo dal 2008. Le contraddizioni non si fermano qui: di recente la fabbrica di turbine eoliche del gigante danese Vestas, che dava da lavorare a un bel po’ di operai dell’isola di Man, nel Canale della Manica, nonostante proteste e occupazioni ha fatto fagotto verso gli Stati Uniti e (guarda un po’) la Cina, a causa delle difficoltà di fare nuovi impianti in Gran Bretagna, dove un serie di Sgarbi locali stanno facendo una gran cagnara contro l’eolico, aiutati dalle solite farraginosità autorizzative. In Germania invece, dove la popolazione e il governo sono favorevoli all’eolico, gli impianti aumentano sia in numero che in potenza e ora è iniziata la colonizzazione eolica del mare del Nord, con piani faraonici che dovrebbero portare quel settore a produzioni record entro il 2020.
Ah, un’altra cosa interessante che sta succedendo è la diffusione di innovativi sistemi di stoccaggio della corrente. L’elettricità infatti è difficile da conservare e in sostanza la produzione oscilla seguendo il ritmo dei consumi. In Italia quando la domanda elettrica cala (tipicamente di notte) la corrente in eccesso viene in parte utilizzata per pompare acqua dal basso verso l’alto nei bacini di raccolta delle centrali idroelettriche, in modo che esse siano pronte a sopperire ai picchi di domanda diurna. Negli Usa si sta diffondendo un altro sistema, basato su sofisticate batterie di volani (grosse ruote che girano ad altissima velocità quasi senza attrito) che vengono messe in rotazione dalla corrente in eccesso e che rallentano per restituire corrente alla rete quando ci sono picchi di domanda. Così si risponde alle critiche di chi dice che il vento e il sole ci sono quando pare a loro e che un sistema energetico basato sulle rinnovabili non è realistico perché instabile e troppo rischioso.
Le rinnovabili infine potrebbero darci un aria mano a liberarci dagli anacronistici, rumorosi inefficienti ed inquinanti motori a scoppio che a milioni ammorbano l’aria delle nostre città. La combinazione elettricità rinnovabile/motore elettrico è l’uovo di Colombo, una soluzione che è in grado di spingere sia una bicicletta di pochi chili che un autotreno di 40 tonnellate, senza un filo di fumo né un grammo di CO2. Dopo decenni di vero e proprio ostracismo, alcuni schemi di questo genere stanno tentando il decollo, in Francia con Autolib, in Israele con il sistema di scambio batterie Better Place. E persino in Cina, dove l’uomo più ricco costruisce… auto elettriche. Anche qui però industria e ingegneria non bastano, se non vengono affiancati dal coraggio di osare da parte di una classe politica che ha bisogno di togliersi il carbonio dalla testa, per sostituirlo con la luce del sole e il soffio del vento.

fonte: rinnovabili.it

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