martedì 6 ottobre 2009

I lentissimi passi della prima settimana a Bangkok (a 9 settimane da Copenhagen)

La prima settimana dei Climate change talks in corso a Bangkok sembrerebbe aver segnato qualche timido progresso nella redazione del testo che dovrà essere discusso e approvato alla Conferenza climatica della Convenzione quadro sul cambiamento climatico dell'Onu ('Unfccc), ma rimangono forti contrasti tra i Paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo sia sui tagli dio gas serra, sia sui finanziamenti per l'adattamento al cambiamento climatico.

I colloqui climatici nella capitale thailandese termineranno il 9 ottobre, poi sulla road map di Copenhagen è segnata solo la tappa novembrina di Barcellona ed i 4000 delegati in rappresentanza di 177 Paesi, imprese, ambientalisti e mondo della ricerca stanno cercando un accordo che quasi sul filo di lana appare difficile da raggiungere. Il direttore esecutivo dell'Unfccc, Ivo de Boer, di solito prudentissimo, si è detto però incoraggiato dai progressi fatti per arrivare ad una bozza definitiva di trattato nei settori chiave per il post-Kyoto: adattamento, trasferimento di tecnologie pulite, rafforzamento delle capacità di gestione e progetti sul clima nei Paesi in via di sviluppo.

«E' anche molto positivo vedere che i negoziatori alla fine si sono messi a tagliare il testo che conteneva numerose disposizioni temporanee e tra parentesi» ha detto de Boer, ma ha dovuto anche ammettere che «I progressi nella riduzione delle emissioni di gas serra da parte dei Paesi industrializzati restano deludenti, così come i progressi sui finanziamenti.

Il présidente del Ad hoc working group on further commitments for Annex I Parties under the Kyoto Protocol (Awg-KP), John Ashe, ha sottolineato che nell'ultima settimana di colloqui a Bangkok «Occorrerebbe progredire urgentemente e fare proposte ben più ambiziose».

Sembra più ottimista il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, che è convinto che le posizioni dei vari governi si stiano finalmente delineando.

In un discorso tenuto all'università di Copenhagen Ban ha detto che «il cambiamento climatico, e l'imperativo di arrivare ad un accordo a Copenhagen, è ormai una priorità all'ordine del giorno internazionale. Questo è il luogo dove dovrà essere trovato. Affrontare il cambiamento climatico ci può mettere sulla strada della pace e della prosperità per tutti».

Ban ha rivendicato i risultati del summit climatico da lui convocato a settembre a New York al che «Ha permesso di mettere pressione sui dirigenti mondiali e di attirare la loro attenzione sul bisogno urgente di agire per finalizzare un accordo sulla riduzione dei gas serra che deve rimpiazzare il Protocollo di Kyoto che scadrà nel 2012. I dirigenti hanno espresso un largo sostegno all'instaurazione di un obiettivo a lungo termine che limiti l'aumento della temperatura mondiale al massimo a 2 gradi Celsius. I dirigenti mondiali hanno riconosciuto l'obbligo scientifico di ridurre le emissioni di gas serra di almeno il 50% sul livello del 1990 entro il 2050. Hanno anche tutti riconosciuto che un accordo al summit di Copenhagen a dicembre é possibile ed hanno sottolineato il loro impegno per raggiungere questo obiettivo».

Un impegno che però si stempera appena deve essere messo nero su bianco dalle delegazioni dei Paesi che partecipano alle trattative della road map verso Copenhagen disegnata due anni fa a Bali. Delegazioni cariche di timori, promesse, sospetti e di pressioni di lobby economiche e politiche nazionali che sembrano lontane e diverse dai solenni impegni presi dai Capi di Stato e di governo dalla tribuna climatica allestita all'Onu. A cominciare, per stessa ammissione di Ban Ki-moon, dai finanziamenti per le misure di adattamento ed attenuazione dei cambiamenti climatici.

Se è vero che numerosi governi si sono detti disposti ad approvare la proposta di finanziamenti per 100 miliardi di dollari all'anno nei prossimi 10 anni, è anche vero che, secondo le conclusioni di un nuovo studio globale della Banca mondiale (Economics of Adaptation to Climate Change) presentato al summit di Bangkok, che ci vorrà molto di più e per molto più tempo: «L'adattamento al cambiamento climatico nei Paesi in via di sviluppo costerà dai 75 ai 100 miliardi di dollari all'anno tra il 2010 e il 2050».

Katherine Sierra, vice presidente della Banca mondiale per lo sviluppo sostenibile, ha spiegato ai delegati di Bangkok che «Il costo dell'adattamento ad un aumento delle temperature mondiali di 2 gradi è paragonabile come grandezza all'ammontare attuale dell'aiuto pubblico allo sviluppo. Davanti alla possibilità di dover sopportare dei costi addizionali esorbitanti per le infrastrutture, ma anche di far fronte alla siccità, alle malattie e ad un calo tragico della produttività agricola, i Paesi in via di sviluppo devono assolutamente prepararsi alle eventuali conseguenze di un cambiamento climatico incontrollato. A questo riguardo, l'accesso ai finanziamenti necessari sarà essenziale».

E Bert Koenders, ministro per la Cooperazione allo sviluppo dell'Olanda ha aggiunto che «Lo studio della Banca mondiale dimostra chiaramente che delle misure di adattamento prese al presente possono produrre delle economie in futuro e ridurre rischi inaccettabili. A questo stadio, il costo di queste misure può ancora essere sopportato dalla comunità internazionale, se si guarda al Pil dei Paesi ricchi, ma è proibitivo per i Paesi poveri. Più che mai, l'attenuazione del rischio climatico, le misure di adattamento e la cooperazione per lo sviluppo sono necessarie perché i più impoveriti siano meno esposti alla modificazione del clima. Occorre un aiuto pubblico nuovo e supplementare per sostenere finanziariamente l'adattamento nei Paesi in via di sviluppo più poveri, in maniera da non compromettere gli Obiettivi di sviluppo per il millennio».

E a Copenhagen ormai mancano 9 settimane...

fonte: greenreport.it

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