giovedì 18 dicembre 2008

Riscaldamento dal sottosuolo Ikea rilancia la geotermia

E' stata praticamente inventata in Italia oltre un secolo fa, ma negli ultimi tempi le sue potenzialità erano state decisamente perse di vista. Ora a ricordarci il contributo che può arrivare dall'energia geotermica sono gli svedesi di Ikea che inaugurano a Corsico uno tra gli impianti di geoscambio a bassa entalpia (che sfrutta direttamente il calore naturale) più grandi d'Europa. In tutto 304 sonde geotermiche in grado di produrre a seconda delle stagioni aria calda o fredda per il grande supermercato del mobile "semplicemente" sfruttando il gradiente termico presente tra la superficie (più fredda) e una profondità di 125 metri (più calda).

Secondo i calcoli dell'azienda (che sta costruendo un impianto ancora più ambizioso a Parma), l'ingente investimento si ripagherà nel medio/lungo termine grazie ad una riduzione fino al 50% dei consumi energetici necessari per raffreddare e riscaldare il negozio. Oltre alle strategie di mercato di Ikea, a rendere possibile la realizzazione dell'impianto è stata la collaborazione della Provincia di Milano, interessata al lancio di un progetto pilota finalizzato a conoscere l'impatto conseguente all'installazione di sonde geotermiche in una realtà altamente antropizzata come il territorio provinciale milanese.

"Quello inaugurato oggi - afferma l'assessore provinciale all'Ambiente Bruna Brembilla - è importante, oltre che innovativo, perché mette in pratica due obiettivi fondamentali della Provincia di Milano: da un lato la produzione di energia pulita, assicurata dalle sonde geotermiche; dall'altro il risparmio dell'acqua, grazie al sistema di riciclo della risorsa idrica utilizzato dall'impianto".

Che il geotermico possa rappresentare un valido contributo alla riconversione del sistema energetico è evidente, ma recenti esperienze invitano alla cautela sulla scelta delle modalità. In Svizzera, paese all'avanguardia in questo settore, il progetto più ambizioso, il "Deep heat mining" (sito ufficiale in tedesco) portato avanti dalla municipalità di Basilea per dare calore a 5000 appartamenti ha subito forti rallentamenti dopo una serie di scosse sismiche scaturite in seguito agli scavi eseguiti.

In Italia, malgrado le potenzialità, l'utilizzo di questa risorsa si limita per ora a pochi impianti campione ma non certo per ragioni legate ad una comprensibile prudenza. Un disinteresse che cozza con il primato detenuto dal nostro paese nella sfruttamento del geotermico per la produzione di elettricità. Il primo generatore installato a Larderello, in Toscana, per trasformare il vapore che fuoriesce dalla terra in corrente elettrica risale infatti nientemeno che al 1904. Non a caso questa viene chiamata "geotermia di prima generazione" e più o meno tutto ciò che si poteva razzolare lungo la Penisola è stato razzolato. Il futuro secondo gli esperti è invece nel Egs, sigla che sta per Enhanced Geotermal Systems, sistemi geotermici potenziati.

Ad occuparsi di questa "geotermia di terza generazione" è in Italia un gruppo di istituti universitari e di ricerca raccolti nell'Associazione italiana sistemi geotermici avanzati. L'idea alla quale stanno lavorando, come spiegava recentemente il professore Giovanni Barla all'inaugurazione dell'anno accademico del Politecnico di Torino, è "in estrema sintesi" quella di "posizionare in profondità scambiatori di calore a circuito chiuso che possano consentire di fare transitare il fluido - l'acqua - che dovrà scaldarsi a sufficienza vicino la roccia calda, per giungere alle turbine o agli scambiatori posti in superficie".

Se perseguito in maniera seria e tenace, l'Aisga valuta realistico per l'Italia raggiungere a costi competitivi nel giro di una decina di anni l'obiettivo di un contributo della geotermia di terza generazione pari ad almeno il 10% dell'energia prodotta. Una quota che seppure dovesse essere rivista al ribasso (ma uno studio del Mit di Boston tarato sulle possibilità negli Usa giunge a conclusioni analoghe) sarebbe comunque straordinaria vista la difficoltà che abbiamo a muoverci verso quel 17% di energia da fonti rinnovabili che la direttiva europea del 20-20-20 ci obbliga ormai in maniera vincolante a raggiungere.

fonte: repubblica.it

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