mercoledì 16 luglio 2008

"Il petrolio è troppo caro fermiamo gli speculatori"

"Ascoltatemi bene, io vi parlo sia a titolo personale sia a nome del Regno dell'Arabia Saudita. Quando il prezzo del greggio ha sfiorato i 100 dollari al barile, eravamo già contrariati. Figuratevi adesso, che si parla di 200 dollari".

Accomodato su una poltrona di sete azzurre e dorate, chi parla non è uno dei tanti leader occidentali con il petrolio alla gola, ma Sua Maestà Abdullah Bin Abdul Aziz Al-Saud, Custode delle Due Sante Moschee e re dell'Arabia Saudita, primo Paese esportatore di petrolio al mondo. Il suo trono poggia su un quarto delle riserve mondiali di greggio; dispone dei due terzi di tutta la capacità aggiuntiva esistente sul pianeta: è il forziere energetico del mondo industriale.

Re Abdullah ha ricevuto la Repubblica nella sua "fattoria" di Buskura, alle porte di Casablanca dove ha trascorso un periodo di riposo, ospite del sovrano marocchino Mohammed VI. A lui l'affratellano la discendenza diretta dal Profeta Maometto, e la sintonia sui grandi temi del momento: la lotta contro il terrorismo, la promozione dell'Islam moderato, lo sviluppo economico e la ricerca della stabilità. Oggi Abdullah sarà a Madrid per la Conferenza sul dialogo fra i credenti delle diverse religioni e culture che egli stesso ha patrocinato.

A 83 anni, il monarca saudita passa, nel suo Paese, per un progressista. In questa intervista, una delle rare concesse alla stampa occidentale, oltre ad affrontare l'emergenza-petrolio, re Abdullah lancia anche un monito all'Iran, perché non approfitti di un futuro disimpegno americano a Bagdad. Ed esprime il proprio scetticismo sulle recenti dichiarazioni di apertura al negoziato di pace da parte di Israele.
Maestà, se il re saudita si inquieta per il caro-petrolio, qualcosa non quadra. Si direbbe che voi abbiate tutto da guadagnare col greggio che vola verso i 200 dollari al barile. Lei invece sta dicendo che l'Arabia vuole moderarne il prezzo?

"Certo, che è così: noi non volevamo e non vogliamo che il prezzo salga tanto in alto. Non è nel nostro interesse perché non è nell'interesse del resto del mondo. Il nostro interesse e quello mondiale sono strettamente legati".

E allora perché il petrolio è alle stelle?
"Perché il petrolio è diventato una commodity, quasi al pari di una valuta. Qui entra in campo l'avidità speculativa di certi personaggi, di certe imprese. Questi hanno sfruttato il rialzo nelle quotazioni del greggio per accumulare ricchezze, per avvantaggiarsene personalmente. Non si curano affatto dei danni inflitti all'umanità".

Che cosa si può fare per arrestare la spirale?
"La stabilità del mercato petrolifero mondiale è un obiettivo condiviso sia dai produttori sia dai consumatori. E ci battiamo per raggiungerlo. Però, malgrado noi abbiamo aumentato assieme ad altri Paesi dell'Opec la capacità di produzione, il mercato non ha risposto in maniera positiva. Come vedete, questo dimostra quanto influisca sui prezzi l'effetto di altri fattori che sfuggono alla semplice equazione di base della domanda e dell'offerta. In particolare la speculazione, come ho già detto. Ma anche l'imposizione di tasse addizionali all'importazione in alcuni Paesi consumatori".

Vuol dire che il caro-petrolio è colpa dei consumatori?

"Partendo da questa analisi, l'Arabia Saudita ha indetto un vertice straordinario tra Paesi produttori e consumatori a Gedda. A nostro avviso, si deve rafforzare la collaborazione tra le due parti per affrontare la situazione complessiva del mercato: questa è la garanzia necessaria per stabilizzare il prezzo del petrolio, ed è un obiettivo comune. Faccio un esempio. Abbiamo seguito da vicino i lavori del G8; tra le raccomandazioni c'è quella di aprire un dialogo tra produttori e consumatori. Ebbene io vorrei ricordare che noi abbiamo già creato il World Energy Forum per facilitare il dialogo, e il segretariato generale è a Riad. Insomma vorremmo che il G8 appoggiasse i programmi già esistenti, anziché duplicare gli sforzi per progetti analoghi".

Sulla febbre dei mercati pesa anche l'incognita di un attacco militare contro l'Iran. Che conseguenze avrebbe un conflitto Israele-Iran?
"Chi agita simili minacce, deve assumersene l'intera responsabilità. Le affermazioni fatte da certi Paesi sono la responsabilità di quegli stessi Paesi. Detto questo, finché proseguono gli sforzi diplomatici, non credo via sia spazio per discutere di altre opzioni".

Come trattare con l'Iran? Teheran ha il diritto di dotarsi di un programma nucleare?
"Se parliamo del dossier nucleare, noi chiediamo di abbandonare il linguaggio della tensione e dell'escalation, e di adottare una soluzione diplomatica. Quanto poi alla proliferazione nucleare, questa non favorisce né la sicurezza né la stabilità della regione. Mi auguro che tutti i Paesi dell'area si adeguino alla politica del Consiglio di cooperazione del Golfo (di cui fa parte anche l'Iran, n. d. r.) e della Lega araba, il che significa liberare l'intero Medio Oriente e il Golfo dalle armi di distruzione di massa e nucleari".

L'Iran ha ambizioni egemoniche sulla regione e in particolare sull'Iraq. Non teme che un eventuale ritiro della forze americane da Bagdad possa trasformare il Paese in un bastione iraniano?
"L'Iraq ha un bisogno estremo di liberarsi dalle interferenze esterne, di qualsiasi provenienza esse siano. Soltanto così potrà ottenere la sicurezza, la stabilità e la prosperità, e riuscirà a preservare la propria unità, sovranità e integrità territoriale. In Cha Allah, il popolo iracheno potrà ottenere questi risultati guidato da una seria e sincera volontà nazionale, salvaguardando l'ideale di un solo Paese per tutti iracheni, a prescindere dalle etnie e le affiliazioni politiche o religiose".

Ma se l'Iran dovesse prevalere?

"Tutto è possibile. Se io lo temo? No, non abbiamo paura di nulla e di nessuno. Una cosa però è certa: se l'Iran dovesse interferire in Iraq, nel tentativo di dominarlo, questo non servirebbe gli interessi di nessuno. Tantomeno dell'Iran. Infatti se ciò accadesse, si solleverebbe una nuova ondata di resistenza popolare in Iraq, stavolta contro l'Iran. E si creerebbe ulteriore instabilità nella regione".

Sua Maestà, lei è autore del piano di pace comprensivo fra il mondo arabo e Israele: il suo è l'unico progetto rimasto sul tavolo, a eccezione dei negoziati di Annapolis. Quali erano le sue intenzioni iniziali? E sessant'anni dopo la creazione dello Stato di Israele c'è speranza che possiate finalmente vivere in pace?
"Il mio piano voleva e vuole ancora esprimere la seria e sincera volontà del mondo arabo di arrivare a una pace equa, duratura e complessiva della crisi mediorientale, in base al diritto internazionale. Quell'iniziativa è uno dei fondamenti di pace essenziali, riconfermata al summit arabo di Riad. Ci sono poi altre proposte internazionali. Ma tutti questi sforzi continuano a scontrarsi con una politica del rifiuto da parte di Israele".

Vale a dire?
"Israele continua a impossessarsi di terre palestinesi, a costruire nuovi insediamenti e ad ampliare quelli esistenti. Impone ai palestinesi ogni genere di ingiuste restrizioni, compreso l'assedio, sfidando il diritto internazionale e i principi morali. E più gli arabi e il mondo compiono passi verso la pace, più Israele si lancia in atti di aggressione e di violenza verso i palestinesi".

Eppure a Parigi il premier israeliano Olmert ha detto che, mai come adesso, la pace è vicina. Lei non gli crede?
"Questo gli israeliani lo dicono da sempre, però quel che conta sono i fatti sul terreno. E alle loro parole non seguono mai azioni concrete. Perciò è assolutamente urgente che la comunità internazionale, oggi più che in passato, s'impegni, se vogliamo che la più lunga crisi della storia moderna possa trovare soluzione".

Lei, Sua Maestà, non lo dice, ma tralascia di accennare al ruolo del mediatore americano. Il suo regno è un tradizionale alleato degli Stati Uniti. Si ha l'impressione che la luna di miele sia finita?
"Le nostre amicizie si basano soltanto sulla difesa dei diritti e degli interessi della regione e dei suoi popoli, e su null'altro".

I suoi viaggi storici a Pechino e a Mosca sono segno di un mutamento negli equilibri del potere mondiale?

"A mio avviso, la crisi in cui versa la regione è a tal punto grave da richiedere ogni sforzo e ogni sostegno internazionale, che sia americano, russo, europeo, islamico o arabo. Noi non esiteremo a sostenere qualsiasi tentativo di soluzione, purché sia serio e sincero, e ottenga sicurezza, stabilità e prosperità per la regione garantendo i legittimi interessi dei popoli che la abitano".

Lei è impegnato anche sul fronte della lotta al terrorismo. Con quali risultati? Ritiene di essere riuscito a ripulire il paese da al-Qaeda?
"Chi ha osservato l'impegno del Regno nel combattere la piaga del terrorismo, sa che sono stati raggiunti risultati significativi negli ultimi anni. Questo è stato possibile grazie all'aiuto di Dio, al coraggio dei nostri servizi di sicurezza e al fronte unito che il popolo saudita ha formato contro il terrorismo. Il terrorismo ci è estraneo: è estraneo alla nostra religione, alla nostra società, alla nostra cultura. Ma non basta ricorrere all'azione di polizia. Abbiamo affrontato il problema dei finanziamenti, delle sue radici intellettuali attraverso un programma integrato per contrastarne le deviazioni ideologiche. Continueremo fino al giorno in cui il fenomeno sarà completamente eliminato, finché le sue fonti saranno prosciugate così come le idee devianti che lo alimentano".

Lei ha criticato il mondo perché non fa abbastanza?
"La comunità internazionale potrebbe fare meglio e di più, anche per restringere il cerchio attorno alle reti terroristiche dovunque esse siano. Noi abbiamo convocato a Riad una conferenza internazionale per la lotta al terrorismo, abbiamo invitato la comunità mondiale a creare un centro apposito internazionale per scambiarci informazioni con rapidità, prevedere ed evitare in tempo gli attacchi. Eppure, nonostante i pareri favorevoli, quel Centro non ha ancora visto il giorno. Noi dobbiamo privare il terrorismo di qualsiasi santuario da cui possano minacciare il resto del mondo".

C'è un'altra emergenza mondiale ed è quella del cibo, la salita dei prezzi non conosce più freni. L'Arabia Saudita sta comprando terreni fertili in altri Paesi per garantirsi la sicurezza alimentare?
"Non basta acquistare o affittare terreni. Questa crisi dovrebbe essere in cima alle priorità mondiali, bisogna raddoppiare gli sforzi perché riguarda l'intera umanità. Noi nel Regno ci siamo mossi su tre fronti. Primo: stanziando 500 milioni di dollari in favore del programma alimentare delle Nazioni Unite, per fronteggiare l'innalzamento mondiale dei prezzi del carburante e delle derrate alimentari. Secondo: lanciando investimenti agricoli tesi a migliorare e ad aumentare la produzione agricola in Paesi dotati di terreni fertili e carenti sotto il profilo economico. Noi abbiamo una notevole esperienza nella tecnologia legata all'agricoltura, e i capitali per investire in questo settore. Trasferiamo tecnologie, sviluppiamo imprese agricole per contribuire ad aumentare i raccolti e fornire cibo all'umanità. Il terzo approccio è quello di appoggiare tutti gli sforzi internazionali tesi a risolvere la crisi alimentare".

fonte: repubblica.it

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