lunedì 29 settembre 2008

Amazzonia, il rogo continuo


Se un popolo commette genocidio verso un altro la «civiltà» ha inventato il termine di «ingerenza umanitaria», se una nazione per mania di potere invade un'altra, c'è sempre un «amico» pronto a difenderla ed è la guerra. Ma se una nazione distrugge sistematicamente un suo bene che per le implicanze a livello di biosfera interessa tutti, nessuno si muove.
È il caso dell'Amazzonia che, al di là dell'attenzione sollevata periodicamente da associazioni e volontari, sulla distruzione della foresta, non accade più nulla.
Così, negli ultimi trent'anni, sono stati distrutti per sempre 750mila chilometri quadrati di foresta, due volte e mezzo la superficie dell'Italia.
È un'erosione continua, per gli speculatori quest'area immensa è soltanto una miniera per cavare legni pregiati e minerali, coltivare e poi abbandonare, e così, nel secolo scorso, oltre a vittime eccellenti che si sono battute per la salvezza della foresta sono scomparsi almeno 90 differenti gruppi di indios, altri si sono suicidati, altri sono menomati da malattie. E ciò che resta è polvere durante la stagione secca e fango durante quella piovosa. Il suolo, non più protetto dal substrato del sottobosco, è un triste monumento all'avidità e alla stoltezza.

In Amazzonia vivono circa 2mila specie di pesci e altrettante di uccelli, 1.800 tipi di farfalle, 3mila di formiche, 2.500 di api, 470 di rettili, 500 di anfibi, oltre 400 di mammiferi.
Ma questi tesori, né l'equilibrio atmosferico del pianeta interessano all'uomo. A lui interessa solo ciò che ha «creato», gli allevamenti, il consumo abnorme di carne e quindi i pascoli (dai 90mila capi del 1970 si è passati agli oltre due milioni nel 2004), la distruzione dei boschi per mezzo degli incendi e quindi altra CO2 che si disperde aggravando l'effetto serra che ci sta arrostendo.

Secondo Greenpeace (nel suo sito vi sono filmati eloquenti) sono oltre 3mila le segherie abusive che lavorano nella zona. L'Amazzonia che brucia è una storia vecchia. Dal '91 al '94 la deforestazione in Amazzonia era già aumentata di ben il 33%, pari ad una media annuale di 13.786 chilometri quadrati nel periodo '91-'92 e di 13.786 chilometri quadrati nel periodo '92-'94. La deforestazione era già raddoppiata tra il 1994 ed il '95, passando da 14.896 a 29.059 kmq e il '97 fu addirittura battezzato come l'anno del fuoco.
Oltre alla ricerca di pascoli il disastro fu causato soprattutto dalle falegnamerie asiatiche che dopo aver distrutto le proprie foreste equatoriali si spostarono in Brasile.
C'è voluto il sacrificio di Chico Mendes per far capire che un altro sviluppo dell'Amazzonia era possibile. Da allora si sono susseguiti e sono stati affinati progetti sempre più mirati. Ma la lotta è dura ed è una vera guerra.
Il Wwf, insieme ad altre organizzazioni internazionali, sta rilanciando ora l'attenzione su quest'area del pianeta che appartiene a tutti per le conseguenze che ha per la stabilità climatica e soprattutto pluviometrica anche dell'Europa.

fonte: vglobale.it

1 commento:

domsky ha detto...

Penso che la deforestazione sia un problema di sovrappopolazione, il Brasile è il quinto paese più popolato del mondo, con uno dei tassi di crescita demografica più alti del mondo.

Se la popolazione cresce, crescono le città e diminuiscono le coltivazioni, e quindi vengono tagliate le foreste per fare spazio a nuove coltivazioni.

Con un Brasile abitato da 50 milioni di persone non ci sarebbe nessun problema.

POPOLAZIONE IN BRASILE x 1.000
1995 163,544
2005 188,993
2008 196,343
2015 212,346
2025 231,887

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