C'era anche un filmato, che è stato cancellato, a descrivere come avveniva lo smaltimento delle scorie tossiche della Pertusola utilizzate per costruire anche scuole pubbliche. Un giallo che apre nuovi interrogativi su un'indagine avviata nel 1999 e conclusasi solo da qualche giorno con sette avvisi di garanzia e un'ipotesi d'accusa sconvolgente: disastro ambientale.
Qualcuno tra gli inquirenti del Nisa (Nucleo investigativo sanità e ambiente) sostiene che le videocassette fossero addirittura due, ma di una non si è trovata traccia negli archivi della procura. Di quella invece in mano al pm Pierpaolo Bruni, scorrendo le immagini si vede solo un quadro bianco. Tutto cancellato. «Ho aperto un fascicolo sulla sparizione» dice Pierpaolo Bruni, titolare dell'inchiesta sullo smaltimento illegale delle scorie tossiche. In quel filmato realizzato nel 1999 dal Nisa (nucleo investigativo sanità e ambiente) c'era la prova di come gli operai delle imprese Crotonscavi e Ciampà miscelavano i rifiuti tossici che poi sotterravano nei cantieri. L'attenzione degli uomini del Nisa si era soffermata su quel materiale scuro e granuloso, che nulla aveva a che fare con la malta cementizia.
Quella miscela di cubilot, scarto della Pertusola e loppa d'altoforno, proveniente dall'Ilva di Taranto, era invece una bomba ecologica perché conteneva magnesio, piombo, arsenico e cadmio. Sostanze simili sono state trovate dai periti della Procura nei 18 siti sequestrati (scuole, porto, ville e strade), tutte realizzate dalle due imprese finite sotto inchiesta.
In un primo momento si era pensato a una smagnetizzazione del video, però poi si è accertato che sopra quelle immagini qualcuno ne aveva registrate altre. Volutamente? E soprattutto, chi aveva l'interesse ad oscurare quelle prove? Il lungo periodo, nove anni, trascorso dall'inizio dell'inchiesta potrebbe aver danneggiato il video? Interrogativi che dovrà sciogliere l'indagine affidata alla squadra mobile. Al giallo del video scomparso si aggiungono poi i dubbi sul perché questa indagine sia durata nove anni. L'ex procuratore capo di Crotone Franco Tricoli, insediatosi proprio nel 1999, e rimasto in carica fino a luglio scorso, dice di aver fatto tutto quello che era necessario fare. «Avevo sollecitato lo smaltimento dei rifiuti e avevo informato delle scorie tossiche sia la Commissione antimafia sia la Prefettura. Non ho preso provvedimenti cautelativi, in questi anni, perché i periti non mi hanno prospettato l'esigenza di un pericolo imminente».
Diversa la valutazione del pm Pierpaolo Bruni. «Il primo atto che ho fatto è stato quello di chiedere al gip il sequestro delle aree a rischio. C'è il pericolo di una contaminazione qualora si smuovesse la terra sotto la quale sono state smaltite le scorie». Che potrebbero essere state riversate anche in mare, nella riserva protetta nelle acque antistanti Crotone. Questo almeno hanno scritto in una relazione presentata nell'ottobre del 2007 al ministero dell'Ambiente gli esperti del consorzio nazionale interuniversitario. La documentazione è stata già richiesta dal pm Bruni
fonte: corriere.it
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lunedì 29 settembre 2008
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