giovedì 11 dicembre 2008

Berlusconi: «Pronti al veto sul clima»

La minaccia del presidente del consiglio alla vigilia del Consiglio europeo di Bruxelles: «Se vedrò che sono colpiti gli interessi italiani in modo eccessivo intendo usare il diritto di veto e non avrò nessuna esitazione nel farlo»

Tutela delle industrie manifatturiere; flessibilità nel raggiungere gli obiettivi fissati per il 2020; clausola di revisione generale all'indomani della Conferenza di Copenaghen del 2009. Sono queste le tre 'red-lines' sulle quali l'Italia non è disposta a transigere sul pacchetto clima-energia dell'Ue e per le quali, al decisivo Consiglio europeo che si apre oggi a Bruxelles, è pronta a esercitare il diritto di veto. A mettere le cose in chiaro, ieri in serata, è stato direttamente Silvio Berlusconi: "Abbiamo raggiunto un accordo" ma, ha rimarcato il presidente del Consiglio senza giri di parole, "se vedrò che sono colpiti gli interessi italiani in modo eccessivo intendo usare il diritto di veto e non avrò nessuna esitazione nel farlo".

Il via libera di Roma dunque - che due giorni fa sembrava molto più a portata di mano dopo che Consiglio ed Europarlamento avevano accolto la richiesta italiana sulla possibilità di rivedere nel 2014 la strategia sulle fonti rinnovabili - torna improvvisamente ad allontanarsi. A un tavolo di negoziato non si arriva dichiarandosi soddisfatti di quanto si è già raggiunto, ma la minaccia di veto che nei giorni scorsi era scomparsa dalle dichiarazioni del governo fa alzare la temperatura di un vertice che si annunciava già caldissimo.

La linea dura con la quale l'Italia si appresta a partecipare alla due giorni del Consiglio si rintraccia anche nelle parole di Franco Frattini e Andrea Ronchi, due dei ministri che in questi mesi hanno seguito più da vicino le trattative: "Ci sono passi avanti verso un compromesso equilibrato ma l'Italia non è ancora soddisfatta" e "allo stato, i passi avanti non sono sufficienti", ha avvertito in mattinata il titolare della Farnesina. Insomma, sintetizzerà poco dopo Ronchi, "molto resta ancora da fare". Le "preoccupazioni" di Roma, ha chiarito il responsabile degli Affari europei, riguardano "la tutela del sistema delle imprese e del manifatturiero".

In particolare, secondo il governo, "mancano garanzie sufficienti su alcuni settori importanti per l'Italia, come ceramiche, vetro e carta. Su queste posizioni non ci può essere un compromesso". L'obiettivo di Roma, per usare le parole di Frattini, non è quello di "scassare" i tre pilastri di fondo del cosiddetto 'pacchetto 20-20-20' (riduzione emissioni Co2, più efficienza energetica, aumento dei consumi da energie rinnovabili entro il 2020) bensì salvaguardare l'industria in un momento di profonda crisi economica globale; in particolare quella italiana che, secondo le stime del governo, pagherebbe una bolletta molto più salata rispetto ad altri partner europei.

Per questo vuole che le sue industrie più esposte al rischio 'delocalizzazione' siano sottratte - in tutto o in parte - dal principio di 'chi inquina paga' che al momento scatterebbe indicriminatamente per tutti dal 2013. Domani Berlusconi e Frattini punteranno anche a rendere "flessibili" - ovvero "non vincolanti" ma solamente "indicativi" - gli obiettivi intermedi dei singoli Stati da qui al 2020. Con l'aggiunta di una "clausola di revisione" generale all'indomani della Conferenza di Copenaghen, convocata alla fine del 2009 per disegnare le strategie energetico-ambientali a livello globale. Solo allora si capirà infatti se anche i "grandi inquinatori" - Usa, Cina e India in testa - saranno disposti a tagliare le emissioni di gas serra oppure se l'Europa rimarrà un' avanguardia isolata - e a quel punto ininfluente - nella lotta al cambiamento climatico.

Al tavolo del Consiglio l'Italia potrà contare sulla sponda della Germania, della Polonia e di un altro blocco di Stati dell'est-europeo, tutti - per ragioni diverse - insoddisfatte dell'ultima bozza di accordo presentata stasera dalla presidenza francese di turno. In patria, invece, la minaccia di veto di Berlusconi ha raccolto subito il plauso di Confindustria: "Se dovessero prevalere posizioni massimaliste e anti-imprese, allora bene farebbe il presidente del Consiglio a porre il veto dell'Italia su un provvedimento sbagliato in un momento difficilissimo come quello che viviamo", ha osservato il presidente di Confindustria Emma Marcegaglia.

fonte: lanuovaecologia.it

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