venerdì 15 febbraio 2008

Lavoratori in mobilità riassunti dall'affittuario dell'azienda del vecchio datore

Con sentenza dell’1 febbraio 2008, n. 2472, la sezione lavoro della Suprema Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti in ordine ai benefici contributivi previsti per il datore che assorbe lavoratori collocati in mobilità.
Per la Cassazione, lo scopo dell’art. 8, comma 4, della L. n. 223/91 è quello di incentivare il ricollocamento delle persone espulse dal ciclo produttivo e ridurre contestualmente l’onere economico che grava sull’Inps che deve erogare la prestazione.
La Cassazione ha chiarito che al datore che assume a tempo pieno e indeterminato i lavoratori iscritti nelle liste di mobilità compete il 50 per cento dell’indennità che sarebbe stata corrisposta al lavoratore. Tuttavia, se le riassunzione avviene «nella medesima azienda», non si configura soltanto il ricollocamento, ma anche una sopravvenuta necessità di ampliamento dei livelli occupazionali che il legislatore, nella sua discrezionalità, ha ritenuto di non incentivare.
Per la Cassazione, la riassunzione effettuata entro il termine di un anno dall’affittuario dell’azienda del precedente datore di lavoro viene considerata tecnicamente come un’operazione che avviene nella stessa azienda e ciò che rileva per l’esclusione del contributo è il dato oggettivo dell’azienda e non quello soggettivo del datore.

Fatto e diritto
Un’azienda aveva riassunto un dipendente iscritto nelle liste di mobilità entro il termine di un anno, ma ha dovuto proporre opposizione contro la cartella di pagamento inflitta alla stessa dopo una visita ispettiva relativamente al recupero dei benefici contributivi ex legge n. 223/1991 di cui la società aveva erroneamente ritenuto di poter usufruire in relazione alla posizione dei dipendenti assunti dalle citate liste di mobilità.
La società proponeva opposizione. L’Inps (quale ente impositore) e la banca (in qualità di ente concessionario) avevano chiesto il rigetto del ricorso, la seconda per la sua estraniazione dal giudizio.
Il Tribunale rigettava l'opposizione su impugnativa della società.
L'Inps si costituiva in giudizio e la Corte di appello di Firenze rigettava l'appello, condannando l'appellante al pagamento delle spese del secondo grado di giudizio.
La decisione della Corte d’Appello
Per la Corte d’Appello, “il contratto stipulato fra le parti per il complesso delle sue clausole e per la volontà manifestata dai contraenti, oltre che per la sua espressa qualificazione, presentava tutti i squisiti della fattispecie di cui all'art. 2562 cod. civ., dunque i dipendenti della società avevano diritto alla tutela di cui all'art. 2112 cod. civ. per la continuazione dei loro rapporti di lavoro e non potevano essere licenziati a motivo del trasferimento o dell'affitto di azienda”.
La società allora ha proposto ricorso in Cassazione.
Le ragioni della società
Per la società ricorrente erano stati violati gli artt. 2359 cod. civ. e 8 (comma 4 e 4 bis) della legge n. 223/1991 e la motivazione addotta dalla Corte d’Appello presentava dei “vizi”.
La società, inoltre, sosteneva che fosse “pacifico che avesse ed abbia sempre avuto assetti proprietari del tutto diversi da quelli della ditta individuale in quanto doveva competere senza ombra di dubbio il beneficio previsto da parte dell'art. 8, comma 4, della legge 23 luglio 1991 n. 223, la cd. «dote», e ciò in quanto pacificamente essa ha assunto i lavoratori di cui si discute a tempo pieno ed indeterminato dalle liste di mobilità”.
La società ricorrente aveva anche denunciato «violazione dell'art. 25, comma 9, della legge n. 223/1991, nonché vizi di motivazione», rilevando che “i benefici previsti per le aziende che assumono dalle liste di mobilità sono due e sono benefici completamente diversi l'uno dall'altro, in particolare come condizioni di loro rispettivo riconoscimento (la c.d. «dote» ex art. 8, comma 4, da una parte e la c.d. «riduzione della aliquota contributiva» ex art. 25, comma 9, dall'altra parte)”. La società, dunque, censurava la sentenza impugnata in quanto “la Corte territoriale, senza motivare la reiezione della domanda sul punto illegittimamente ed immotivatamente ha dichiarato non dovuto neanche il beneficio ex art. 25, comma 9, cit. pure ricorrendone i presupposti di legge”.
La società ricorrente aveva anche denunciato la «violazione degli artt. 2112 cod. civ. e 8 (commi 4 e 4-bis) e 25 (comma 9) della legge n. 223/1991; nonché vizi di motivazione» in ordine al trasferimento di azienda ex art. 2112 cod. civ. che non era configurabile come ritenuto dalla Corte d’Appello.
Quindi, poiché non c’era stata con una vera e propria soluzione di continuità, non si poteva essere in presenza di un trasferimento di azienda ai sensi dell'art. 2112 c.c.. Un eventuale preteso affitto di azienda produce gli effetti di cui all'art. 2112 c.c. sui rapporti di lavoro alla duplice condizione che l'azienda sia attiva e che i rapporti di lavoro siano in atto al momento in cui si realizza il preteso trasferimento di azienda, cosa che non è avvenuta nel caso in esame.

La decisione della Cassazione
Per la Cassazione, al datore di lavoro che, senza esservi tenuto, assuma a tempo pieno e indeterminato i lavoratori iscritti nella lista di mobilità, è concesso, per ogni mensilità di retribuzione corrisposta al lavoratore, un contributo mensile pari al cinquanta per cento della indennità di mobilità che sarebbe stata corrisposta al lavoratore.
Questa, però, non spetta al datore di lavoro che, essendo affittuario dell'azienda del precedente datore di lavoro (che aveva collocato in mobilità i suoi dipendenti), proceda nel termine di un anno alla riassunzione di questi ultimi, atteso che in tal caso la riassunzione risulta essere avvenuta nella «medesima azienda» e, quindi, non ha riguardato lavoratori che avevano diritto alla precedenza.
Infatti, la finalità del contributo di cui al quarto comma dell'art. 8 cit. è quella di incentivare il ricollocamento di lavoratori in mobilità percettori della relativa indennità di mobilità, contestualmente contenendo l'onere economico per l'ente previdenziale erogatore della provvidenza .
Per la Cassazione, la riassunzione nella “medesima azienda” comporta non solo il ricollocamento di lavoratori in mobilità; c'è anche una sopravvenuta situazione di necessità di ampliamento del livello occupazionale che (pur non potendo escludersi} non è di norma in linea con le ragioni che legittimano l'avvio della procedura di mobilità e che giustificano, all'esito del procedimento disegnato dalla legge n. 223/91, cit., la contrazione del livello occupazionale con l'estromissione dei lavoratori eccedenti. Il legislatore, nella sua discrezionalità, ha ritenuto di non incentivare questa evenienza, anche se non l'ha considerata con sospetto per le (altrimenti) possibili strumentalizzazioni al fine di lucrare il contributo in questione. L'evenienza che il lavoratore, esca dall’azienda (perché collocato in mobilità) e successivamente vi rientri (perché riassunto) è vicenda diversa da quella del lavoratore che esce definitivamente da un’azienda (dove è riassunto).

Suprema Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza n. 2472 dell’1 febbraio 2008

fonte: newsfood.com

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