venerdì 4 luglio 2008

«Nel Mediterraneo crisi sociale per il clima»

Nel 2080 le temperature più alte di 5 gradi, con le guerre per acqua ed energia, minacceranno la specie umana. Il monito dell'agenzia dell'Onu per il Mediterraneo, Plan Bleu/ Vai al sito - Sicurezza a rischio - Un mondo più "rinnovabile"
Ottime le previsioni del tempo nel 2080 nel Mediterraneo, tragiche le conseguenze di un clima troppo soleggiato e delle temperature più alte di 5 gradi: il surriscaldamento del pianeta metterà a repentaglio la specie umana, sempre se sarà sopravvissuta alle guerre che, a breve termine, scoppieranno per l'acqua e l'energia sempre più scarse. È forte e chiaro il monito che l'agenzia dell'Onu per il Mediterraneo (Plan Bleu) lancia ai governi delle due sponde: se non si agisce subito, nel giro di qualche decennio si comincerà letteralmente a contare i morti.

Secondo le stime dell'Onu - che ha condotto lo studio assieme alla Banca europea d'investimenti - sarà il Mediterraneo a pagare il prezzo più alto del surriscaldamento del pianeta. Nel 2080 la temperatura aumenterà da 2,2 a 5,1 gradi rispetto ad oggi, mentre la pioggia diminuirà tra il 4% e il 27% (nel nord Europa invece aumenterà del 16%). I periodi di siccità si moltiplicheranno e saranno accompagnati da ondate di calore frequenti e da inondazioni violente, ancora più pericolose per via del livello del mare che salirà di 35 centimetri entro la fine del secolo.

Gli effetti del cambiamento climatico nel Mediterraneo si faranno sentire soprattutto sulle risorse idriche (modificando per sempre il ciclo dell'acqua), sulla composizione della terra (che tenderà alla desertificazione), sulla biodiversità (molte specie andranno verso l'estinzione mentre altre migreranno verso il nord) e sulle foreste (a rischio incendi e parassiti). Agricoltura e pesca, turismo, infrastrutture delle zone costiere, subiranno danni irreversibili che si aggiungeranno "agli elevati rischi sociali", si legge nel rapporto.

Tra i Paesi del Mediterraneo sono quelli della sponda sud-est i più vulnerabili ai cambiamenti del clima, perché maggiormente esposti all'avanzare della desertificazione, alla scarsità dell'acqua e perché le loro economie dipendono in buona parte dalle risorse naturali e hanno capacità limitate per fare fronte alle necessità dell'adattamento. Gli effetti al nord saranno invece più miti. La sponda sud-orientale è malmessa anche per quanto riguarda le emissioni di CO2, che aumentano con una rapidità tre volte superiore alla riva nord.

Tra il 1990 e il 2004 le emissioni di gas serra nel nord sono aumentate del 18% (soprattutto per colpa dei trasporti), mentre al sud sono aumentate del 58% (a causa dei consumi elettrici e del riscaldamento), un ritmo di crescita venti volte superiore alla media mondiale. Il problema dell'approvvigionamento energetico è quello che preoccupa sempre di più gli esperti dell'Onu: la domanda di energia salirà indipendentemente dall'aumento della popolazione, entro il 2025 raddoppierà nella sponda sud e in alcuni Paesi (Turchia, Egitto, Marocco, Algeria e Tunisia) triplicherà addirittura.

"Le tensioni sociali sulle risorse energetiche, che già esistono, rischiano di accentuarsi sensibilmente", secondo lo studio. La ricetta per contenere i danni è quella che le organizzazioni internazionali propongono da anni, cioé passare dai combustibili fossili alle fonti rinnovabili. La novità è che l'Onu ha studiato il modo per ottenere risultati concreti già nel 2015: gli esperti, che hanno studiato la situazione in Egitto, Tunisia e Marocco, hanno previsto che portando all'1,1% il livello di energia prodotta grazie a fonti rinnovabili, si potrebbe risparmiare dai 30 ai 50 miliardi di dollari all'anno di petrolio.

fonte: lanuovaecologia.it

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