sabato 9 febbraio 2008

"La mia vita nella trincea dei rifiuti ma da solo non posso vincere"

Giovedì 7 febbraio. Undici gradi. Cielo coperto. Duecentomila tonnellate di rifiuti nelle strade delle province di Napoli e Caserta. Anno quindicesimo dell'"emergenza". Giorno ventitreesimo della sua nuova gestione. Alle 8 e 45 del mattino, lo Stato, la sua faccia, s'avanza lentamente in una piazza del Plebiscito deserta, rimontando a piedi il breve tragitto che separa il mare dagli stucchi rosa di Palazzo Salerno. Una stanza di albergo che guarda il Golfo, dal ballatoio settecentesco affacciato sul dramma. Gianni De Gennaro si stringe in un trench color sabbia, si afferra affettuosamente al braccio di Tommaso, "il mio disattendente di campo", lo sbirro ragazzo che a forza di seguirlo ovunque, ragazzo non lo è più da un pezzo. Riceve il saluto dei camerieri in livrea del "Gambrinus", con un'educazione che declina in compiaciuta deferenza. "Eccellenza...", "dottore...", "Prefetto...". "Un bel caffè per il capo della Polizia". "Eh, non lo sono più da un pezzo. E poi ancora con questo Eccellenza... Pensate piuttosto alla raccolta differenziata dei cartoni, che da oggi cominciamo". Poi, di nuovo sulla piazza, lucida come uno specchio sotto le spazzole di un camioncino dell'Asia, la municipalizzata. Una camel light che brucia in fretta e che viene strozzata del braciere prima di raggiungere il filtro, "come si faceva a scuola". E il filtro che rimane chiuso nel pugno, fino al primo cestino. "Sono pur sempre 3 grammi. Che quando hai centinaia di migliaia di tonnellate in strada...".

Lo Stato si è accampato al secondo piano del Palazzo in cui, dal '700 in poi, hanno sempre messo le tende i vincitori, o gli "usurpatori", dipende dai punti di vista, prima che i succhi gastrici della città li digerissero. Il generale Enrico Morozzo conte della Rocca, comandante militare delle province Napoletane (1860); il nazista Scholl (1943); il generale inglese sir Harold Alexander (1944); una decina di comandanti Nato dello scacchiere sud. E lo ha fatto con le sue insegne repubblicane. Per scelta. "Ho voluto che la ruota dentata della Repubblica fosse ovunque. Sulla carta intestata, sui ferma carte, sui mezzi, nel logo delle agenzie governative che ogni giorno lavorano sul territorio, sui comunicati alla popolazione". I militari, che del Palazzo sono i cortesi padroni, hanno liberato i quattro felpati saloni del piano nobile. De Gennaro ne ha fatto un porto di mare. Via i troumot, le poltrone in damasco, le porcellane. Dentro scrivanie lavabili, poltroncine da ufficio, casse di acqua minerale e risme di fogli A4, ciabatte per pc portatili e stampanti, due grandi leggii per tenere aggiornata la contabilità dell'emergenza.

Di là, il foyer dei cimeli, dove sindaci, tecnici, geometri, attendono il loro turno tra picche, sciabole borboniche, mazze ferrate. Di qua, lo Stato che, per una volta, ha deciso di mostrarsi in maniche di camicia. E fuma. Come spiega il cartello che De Gennaro ha affisso alla porta del suo ufficio, già stanza del capo di stato maggiore: "Il fumo danneggia la salute. In questa stanza si fuma. Quindi, a tutela della vostra salute, si suggerisce di non entrare o di trattenersi il tempo strettamente necessario".

Nella voglia, innanzitutto simbolica, di disfarsi degli orpelli della forma, nel modo divertito di rivolgersi a chi lavora con il nome del problema in grado di risolvere ("Mi cercate la signora Differenziata?") c'è una scelta di metodo e un antidoto alla solitudine, anticamera della sconfitta. "Qui, per poter fare, bisogna parlare. Parlare. Parlare con tutti. Spiegare. Convincere. Liberare dalla sfiducia e dalla diffidenza. Informare con correttezza. E poi, fare. Fare. Fare. Naturalmente ci vuole tempo e pazienza". Significa riscrivere l'etichetta. Rovesciare la "piramide della comunicazione", come dice Cristina, la portavoce di De Gennaro. "Ieri, un giornalista del Financial Times ha fatto anticamera per un giorno intero. Non poteva credere che prima di lui ci fossero il quotidiano "Otto pagine" di Avellino e "Canale 58" di Ariano Irpino".
Parlare, dunque. De Gennaro lo ripete come un mantra. Innanzitutto a se stesso. E chi conosce l'uomo sa quale forma di violenza sia questa alla sua indole. Anche perché di parlare sembra non si debba finire mai.

Alle 10, il sindaco di Angri lamenta di essere ancora in attesa di una chiamata dei tecnici per poter sottoporre il suo piano per un nuovo impianto di compostaggio. La voce di De Gennaro sale di cinque toni e frulla i suoi due viceprefetti strappati alla quiete di sedi di provincia: "Perché nessuno ha chiamato il sindaco di Angri, eh? Qualcuno me lo sa spiegare? Quando serve chiamarlo? Già serviva...".

Alle 11, si accomodano Enzo Cuomo, sindaco del Pd di Portici, coordinatore provinciale dell'Anci, e Raffaele Topo, sindaco del Pd di Villaricca. De Gennaro indica la scrivania del suo ufficio, chiusa in un angolo dal tricolore e ingombra di bozzetti di discariche. Il colloquio racconta quale lingua parli la crisi, dove ne finisca la rappresentazione e ne cominci la sostanza. Cuomo è persona intelligente, di buona volontà. È qui per consegnare il programma ambientale del Pd provinciale. Topo invece ha un problema: "Eccellenza, è chiaro che noi la riapertura della discarica non la possiamo accettare. Lei lo sa...". "Sindaco, non ricominci con questo Eccellenza e soprattutto non cominci a rompere. Vi ho spiegato come stanno le cose. Nessuno vuole riaprire la discarica. Vi ripeto che la vostra discarica va messa in sicurezza geostatica per essere chiusa. Quindi, bisogna riempirne i gradoni. Noi lo facciamo con 30 mila tonnellate di frazione organica stabilizzata, o comunque con quanto ci diranno i tecnici. Noi tiriamo il fiato e voi fate un favore innanzitutto a voi stessi". "E va buono, se le cose stanno così, non c'è problema. Basta spiegarsi. Appena lo avete pronto esamineremo il piano tecnico in consiglio. Così la finiscono anche quelli di Striscia la notizia". "Perché?". "Gesù, l'altra sera hanno detto che solo in Campania un Topo può fare il sindaco e per di più opporsi alla discarica". De Gennaro ride. "Però io sapete che gli ho detto? "Me lo spiegate allora voi che a Milano non tenete la munnezza come mai tenete nello studio tv tutte quelle zoccole?". Quando prende commiato, Topo appare rinfrancato ("Ho la parola dell'ex capo della polizia"). Come sembra esserlo, alle 12, il sindaco di Montesarchio Antonio Izzo, al telefono con l'ufficio di gabinetto. La discarica del Comune era tra quelle requisite per una potenziale riapertura. Gli esami tecnici ne hanno escluso la agibilità, ma il sindaco, intanto, si era portato avanti con un bel ricorso al Tar. Scartoffie e spese legali. "Se potessi avere una carta che mi assicura che qui non si fa niente, è inutile che vado avanti...".

C'è sempre un sindaco, dietro la porta. C'è sempre un sindaco a pranzo (anche oggi, al Vesuvio dopo un incontro alle 12.30 con il procuratore generale). C'è sempre un sindaco al telefono. "C'è gente a cui spiegare cosa è Camorra e cosa non è Camorra, perché dove tutto diventa Camorra, magari ogni buco nella terra, allora niente è Camorra". C'è una montagna di mondezza, in provincia, pietrificata da una guerra di campanile. La discarica di Ferrandelle ha aperto il 6 febbraio, con quattro giorni di ritardo, e a patto che, almeno all'inizio, prenda solo le mille tonnellate al giorno di Caserta. I comuni della provincia di Napoli dicono alla città di tenersi la sua merda. De Gennaro dice: "Ho spiegato ai sindaci dell'hinterland che se questo deve essere il sistema, dicessero allora ai loro concittadini, quando escono la mattina per venire a Napoli a lavorare, di portarsi un sacchetto dell'immondizia e di riportarselo indietro la sera. Pieno".

L'unità di crisi, quando sono le 17.30, riferisce del suo secondo "mattinale". Discariche aperte e in allestimento, siti di stoccaggio, treni in partenza per la Germania, rifiuti raccolti nelle 24 ore in città (1.400 tonnellate), piano per l'indomani. De Gennaro chiede ("Con camion più piccoli riusciamo ad andare più veloci?"). Ascolta un colonnello dei bersaglieri che ha applicato alla raccolta un modello matematico che utilizzava nei wargames, per stabilire le esatte percentuali giornaliere di conferimento dei rifiuti napoletani. Registra che almeno l'ordinario è a regime. Annota tutto in una cartellina plastificata rosa, quella che porta a Roma ogni volta che "sale" per riferire a Palazzo Chigi "come va" e "quanta ne resta". "Tanta ce n'è. Io dico: che cambia tra 200 e 250 mila? Questa è come la storiella che raccontavo al Viminale quando c'erano i cortei. Dicevo: "ricordatevi dei garibaldini". "Sbarcati in Mille. Per la questura, 500". Sempre tanti sono, no? Per me, la mondezza resterà tanta finché ci sarà un sacchetto a terra. E noi non abbiamo tempo da buttare". Nella città dal tempo immobile, un'eresia. Da coltivare anche visivamente. Cristina mostra la pagina di prova del nuovo sito internet del Commissariato.

Un grande countdown elettronico scandisce il tempo che separa dall'addio. Dall'ultimo giorno di Gianni De Gennaro, il 7 maggio. Indica 93 giorni, 7 ore, 13 minuti, 7 secondi. Anche questo un modo per ricordare e ricordarsi che deve esserci una fine. Senza "supplementari". Che invece tutti danno per ineluttabili. "Io non devo dare alla Campania un nuovo ciclo dei rifiuti o scegliere quale debba essere. Io dovevo rimettere in moto la macchina. Ora che il motore è partito, bisogna metterla in grado di camminare da sola entro il 7 maggio. Prima del caldo".
Sono le 23. Piazza del Plebiscito è di nuovo deserta. Girano le spazzole dell'Asia. De Gennaro si stringe nell'impermeabile. Scende verso il mare, una pizza, e la sua stanza di albergo. "Buonanotte Eccellenza...". Meno 92 giorni.

fonte: repubblica.it

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