martedì 24 novembre 2009

Chi tutela i produttori biologici italiani?

Abbiamo ricevuto e pubblichiamo un documento sottoscritto da Unione Nazionale Produttori Biologici (Unaprobio), Sezione Soci Produttori FederBio, Associazione Agricoltura Biodinamica, Terra Sana Italia, ANABIO-CIA, CONFAGRICOLTURA, ANAPROBIO-COPAGRI, ABC Calabria,Agribio Piemonte, AMAB Marche, Aprobio Friuli, ARAC OP Apicoltori bio Calabria, ASAB Sardegna, AVEPROBI Veneto, ATABIO Trentino, OP Carpe Naturam Calabria, Caseificio Sociale Santa Rita, Concabi Campania, ConproBio Lucano, Consorzio Bio Gargano, Consorzio Dauniae Bio Puglia, Consorzio Puglia Natura,OP Cooperativa Agrinova Bio 2000 Sicilia, Cooperativa El Tamiso, Cooperativa IRIS Lombardia, Cooperativa La Primavera Veneto, Cooperativa La Terra e il Cielo Marche, OP Cooperativa S'Atra Sardigna, CTPB Toscana, Prober Emilia Romagna, Liguria Biologica, Terra Sana Abruzzo, Terra Sana Molise e Terra Sana Umbria.

Dopo aver appreso che è stato approvato il Decreto Ministeriale sull'agricoltura biologica ed avendo saputo che il testo ricalca di fatto l'ultima versione nota, anche sul punto controverso delle rotazioni, ci domandiamo chi davvero tuteli i produttori biologici italiani. Ovviamente, non entriamo nel merito della maggior parte del testo che va considerato positivo. Soffermiamoci solo sul punto delle rotazioni colturali. La discussione non è tra chi vuole rendere obbligatoria la rotazione delle colture e chi non la vuole. Per il semplice motivo che l'obbligo delle rotazioni è già nel Regolamento Europeo (834/2007) e non è un optional. Le divergenze ci sono, anche nel mondo del Biologico, ma su altro.
Da una parte c'è chi pensa che le rotazioni possano essere studiate a tavolino ed applicate uniformemente in tutta Italia e contemporaneamente pensa che l'Italia non sia un Paese dell'Unione
Europea con un unico mercato.
Dall'altra parte c'è chi, come noi, pensa che sia giusto rafforzare nel Decreto Ministeriale il principio già sancito dal Regolamento Europeo: non ci possono essere scorciatoie, la rotazione delle colture è solo quello che ci ha insegnato tanti anni fa Ivo Totti: occorre far seguire ad una coltura che sfrutta il terreno, un'altra coltura che lo arricchisce.
E' giusto rafforzare questo principio perché abbiamo assistito in questi anni a fenomeni poco corretti: per alcuni produttori la rotazione si otteneva con la semplice solarizzazione, la pratica colturale per cui, dopo la coltura principale, si tiene il terreno a riposo per circa 60-90 giorni, posando un telo di plastica che "bonifica" il terreno, grazie all'alta temperatura, "risanandolo" dalla presenza di eventuali nematodi od altri ospiti indesiderati. Noi condanniamo fermamente questa prassi. Se questo è avvenuto, è perché, evidentemente, alcuni Organismi di Controllo lo hanno tollerato. Ma il male si combatte alla radice: occorre verificare (lo devono fare le Regioni ed in ultima analisi lo stesso Ministero) che gli Organismi di Controllo non interpretino a loro modo il Regolamento Comunitario. Il male non si risolve inserendo obblighi ancor maggiori, se poi chi deve controllare il rispetto di questi obblighi può dare una sua interpretazione discrezionale delle norme.
Noi asseriamo con convinzione che occorre rafforzare il principio della rotazione e contemporaneamente esercitare una maggiore verifica dell'operato degli Organismi di Controllo.
Rafforzare questo principio però, non può significare introdurre obblighi di una seconda rotazione, prima di procedere nuovamente con la coltura principale che è, peraltro, quella che dà il reddito
all'agricoltore.
L'esempio pratico è questo: un orticoltore pratica una coltura di pomodoro o peperone; col nuovo Decreto, potrà ripiantare pomodoro o peperone (la coltura che gli da il reddito) solo dopo aver fatto due altre colture di cui almeno una da sovescio. Dunque, non basta che si faccia seguire, sempre per fare un esempio, alla coltura del pomodoro, una coltura di favino che poi verrà interrata per riequilibrare la fertilità del terreno, e successivamente ancora che si possa ripetere la coltura del pomodoro (cioè l'anno successivo). C'è qualcuno che può immaginare un serricoltore che, non trovando mercato per una coltura diversa dalla prima (il pomodoro) possa aspettare un altro anno e fare un anno in standby?
E che dire della produzione di sementi in coltura protetta?
La produzione agricola richiede determinate piantine e non altre, ma l'applicazione della nuova normativa renderebbe antieconomico produrre sementi in Italia. Anche qui il rischio (che è più che un rischio) è che stia finendo la possibilità che questa attività sementiera venga esercitata in Italia da aziende che pure dovessero rispettare il principio base della rotazione (coltura arricchente che
segue una coltura sfruttante), ma non la sua determinazione come da D.M. attuale.
Il paradosso lo si evince confrontando gli obblighi delle rotazioni per un risicoltore: secondo il Decreto Ministeriale, può farlo anche per tre anni di seguito. Si dice che ciò è giustificato dall'alto costo dell'impianto di una risaia. E forse che una serra non ha costi di impianto che, senza la possibilità di fare ogni anno la coltura da reddito, non si riuscirà mai ad ammortizzare?
Ci sembra assurdo anche che si voglia determinare per decreto il periodo minimo per effettuare il sovescio in tutta Italia ed in tutte le regioni, pur essendo, questa pratica culturale, molto condizionata dal clima e dalla zona geografica.
Torniamo alla domanda: chi tutela i produttori biologici italiani?
Perché il vero paradosso è che sullo stesso mercato europeo dove gli orticoltori biologici italiani oggi portano i loro pomodori e peperoni, arrivano ed arriveranno gli stessi prodotti (dalla Spagna o
da altri Paesi) che non saranno ottenuti con il rispetto dei nostri limiti, in quei Paesi inesistenti, e si potranno confrontare con gli orticoltori biologici italiani, che nell'arco di due anni avranno una
sola coltura principale da utilizzare per ottenere il proprio reddito. Se sullo stesso mercato ci sono operatori di serie A e di serie B, come accadrà in Europa grazie a questo Decreto Ministeriale, il mercato non è "vero", perché non siamo nelle stesse condizioni di partenza; il mercato è drogato da una concorrenza sleale, ma quello che è grave è che questa concorrenza sleale ce la siamo costruita da soli. Il Decreto Ministeriale è in contrasto con la normativa europea che prevede la possibilità di adottare a livello nazionale norme più restrittive del regolamento europeo sull'agricoltura biologica solo se vengono adottate per l'intero comparto agricolo. Dunque, un Decreto facile da impugnare, cosa molto difficile da evitare se non prevarrà il buon senso da parte di tutti. Ci risulta che sul punto delle rotazioni il Decreto Ministeriale non piaccia, nel mondo produttivo, alla maggioranza delle organizzazioni di produttori biologici: Unaprobio, ANABIO, ANAPROBIO, la Sezione Soci Produttori FederBio, l'Associazione Agricoltura Biodinamica, Terra Sana Italia, decine di organizzazioni regionali di produttori non hanno nascosto la loro contrarietà a questo testo approvato e sono tra i firmatari di questo documento; tra le organizzazioni agricole, non sono d'accordo la CIA, Confagricoltura, Fedagri-Confcooperative, AGCI, Lega Coop Agroalimentare e la COPAGRI.
Ci risulta che sul punto delle rotazioni il Decreto non piaccia all'Associazione dei trasformatori e distributori di prodotti biologici (ASSOBIO); che non piaccia alla Associazione di Mezzi Tecnici per
l'agricoltura biologica (ASSOMETAB) e a Federalimentare. Dunque perché farsi affascinare dalle dispute ideologiche (rotazioni sì o rotazioni no) quando il problema è molto più concreto ed
occorre solo buon senso?
Prima che sia troppo tardi, occorre che il Ministro corregga il testo. E' sufficiente che si dica: "La rotazione delle colture in orticoltura si pratica avvicendando una coltura principale e da reddito con una arricchente da sovescio, che non può essere sostituito da altre pratiche colturali come, ad esempio, la solarizzazione dei terreni". Proponiamo anche che il termine minimo del periodo del sovescio non sia indicato per decreto perché varia da regione a regione; se non lo si vuole abrogare in alternativa chiediamo che sia portato a 50 giorni, cioè quanti ne occorrono normalmente nelle regioni meridionali nelle migliori condizioni climatiche. Perché obbligare l'agricoltore, dopo aver effettuato il sovescio, a tenere il periodo a riposo non necessario?
Poi, che il Ministero e le Regioni si diano da fare per uniformare il comportamento degli Organismi di Controllo al rispetto delle norme vigenti. Questo il parere, diremmo di parte, visto che sono in gioco i
nostri interessi e la nostra stessa competitività, dei produttori italiani del Biologico. E non di una sparuta minoranza di irriducibili, come qualcuno ha avuto l'interesse strumentale di lasciar intendere.

Sottoscrivono il documento

· UNAPROBIO (Unione Nazionale Produttori Biologici)
· Sezione Soci Produttori FederBio
· Associazione Agricoltura Biodinamica
· Terra Sana Italia
· ANABIO-CIA
· CONFAGRICOLTURA
· ANAPROBIO-COPAGRI
· ABC Calabria
· Agribio Piemonte
· AMAB Marche
· Aprobio Friuli
· ARAC OP Apicoltori bio Calabria
· ASAB Sardegna
· AVEPROBI Veneto
· ATABIO Trentino
· OP Carpe Naturam Calabria
· Caseificio Sociale Santa Rita
· Concabi Campania
· ConproBio Lucano
· Consorzio Bio Gargano
· Consorzio Dauniae Bio Puglia
· Consorzio Puglia Natura
· OP Cooperativa Agrinova Bio 2000 Sicilia
· Cooperativa El Tamiso
· Cooperativa IRIS Lombardia
· Cooperativa La Primavera Veneto
· Cooperativa La Terra e il Cielo Marche
· OP Cooperativa S'Atra Sardigna
· CTPB Toscana
· Prober Emilia Romagna
· Liguria Biologica
· Terra Sana Abruzzo
· Terra Sana Molise
· Terra Sana Umbria

fonte: greenplanet.net

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