A mettere le nove associazioni sul piede di guerra è la convinzione che si utilizzano tali le disposizioni “per veicolare drastici interventi contro lo sviluppo delle rinnovabili”. In altre parole un sotterfugio mascherato da buone intenzioni, Se di buono infatti c’è che entro 6 mesi dall’entrata in vigore della legge le convenzioni Cip/6 possano “essere anticipatamente risolte su base volontaria, a fronte di un indennizzo pari ai costi di investimento non ancora ammortizzati”, ad esclusione degli impianti “oggetti delle misure straordinarie volte a fronteggiare le emergenze nel settore dello smaltimento dei rifiuti” a preoccupare sono invece le disposizioni in materia di certificati verdi e della rete di trasmissione dell’energia elettrica.
Nello specifico l’emendamento prevedrebbe:
- rimodulazione in forte riduzione, causa l’impraticabilità dell’obbligo di dotare gli impianti di idonea capacità di accumulo, dei coefficienti di incentivazione delle fonti rinnovabili non programmabili, là dove Terna dichiara di avere difficoltà di dispacciamento, in violazione delle vigenti Direttive europee (Direttiva 2001/77/CE e successive) che obbligano i gestori delle reti a garantire la priorità di dispacciamento alle fonti rinnovabili ed a prevedere e risolvere in anticipo, attraverso le attività di idoneo sviluppo della rete, le problematiche connesse all’inserimento delle fonti rinnovabili non programmabile nel sistema elettrico nazionale;
- riduzione drastica del valore del prezzo di riferimento del Certificato Verde che passerebbe dal prezzo medio di mercato pari a circa 85,00 €/MWh a circa 40,00 €/MWh (pari alla differenza tra 120 €/MWh e il prezzo medio dell’energia elettrica);
- invece di impegnare Terna a realizzare i necessari è già previsti piani di potenziamento delle reti, gli si attribuisce l’insindacabile potere di stabilire la massima quantità di produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile non programmabile che può essere connessa ed erogata.
Le Associazioni hanno pertanto firmato un documento congiunto in cui si chiede al Governo di ritirare tale emendamento sia a causa della sua estemporaneità che perché fonte di una futura e forte confusione nel mercato, tra operatori e investitori. “Tali emendamenti – si legge nel comunicato – provocherebbero la crisi di un settore, quello della produzione di energia da fonte rinnovabile, attualmente in grande sviluppo, oltre tutto anticiclico e con notevoli prospettive economico-occupazionali (almeno 250.000 addetti diretti ed indiretti al 2020), e impedirebbero all’Italia di mantenere gli impegni per il raggiungimento degli obiettivi vincolanti al 2020 (17% dei consumi finali di energia coperti da fonti rinnovabili), definiti in sede europea nel pacchetto Energia-Clima, con la grave conseguenza di dover sostenere elevate penalità finanziarie a causa del mancato raggiungimento del target”.
fonte: rinnovabili.it
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