“I primi risultati di questa indagine provano quanto noi della ARE ripetiamo ormai da anni”. A parlare è il presidente dell’ARE, Michèle Sabban, acceso sostenitore che le regioni siano capaci di giocare al ruolo da leader nella lotta al surriscaldamento globale e nelle sfide dettate dal panorama energetico ma solo “quando dispongono delle giuste competenze e dei fondi necessari”. La convinzione è che possano rappresentare un vero e proprio modello “all’avanguardia nell’affrontare le sfide più importanti che si presentano all’Europa. Quando si tratta di trasformare gli asset energetici locali trovando soluzioni su misura che soddisfino il fabbisogno di energia e rispettino i criteri ambientali – ha proseguito Sabban – non esiste miglior principio guida del ‘pensare globale e agire locale’. È così che funziona il principio di sussidiarietà, ed è così che la politica energetica europea dovrebbe funzionare”.
Dai dati emersi, si capisce il chiaro riferimento della quasi totalità delle entità regionali intervenute (il 91%) a relegare l’energia tra le priorità assolute, come stimolo di partenza per gli sviluppi futuri dei prossimi quindici anni. Nonostante il 75% sul totale degli intervistati dichiari di avere in corso progetti energetici rivolti nella fattispecie alla promozione delle fonti sostenibili con riferimento al loro uso e consumo, dall’altro lato emergono dubbi sul come utilizzare le risorse rinnovabili e in che modo accrescerne l’efficienza e l’utilizzo senza avere però, a proprio sussidio, gli strumenti sufficienti, le abilità e le competenze idonee a supportarli.
Sabban è pertanto convinto che determinate “iniziative legate alle fonti rinnovabili sono possibili solo con il sostegno delle politiche e, molto spesso, con incentivi finanziari stabiliti dai decisori a livello nazionale ed europeo”. Risulta così ovvio e fondamentale che la figura dell’ARE sia quella di cercare strade e procedimenti alternativi per rendere immediato l’accesso da parte degli Enti alle varie forme di diffusione sostenibile e del risparmio energetico.
La ricerca ha fatto emergere che, laddove le disposizioni dell’Unione Europea non sono dichiaratamente fruibili ed esplicite, proporzionalmente accresce il disagio delle Regioni, che di conseguenza ne risentono enormemente: solo il 59% degli intervistati ammette di favorire di programmi di Cooperazione Territoriale Europea finanziati dal Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR).
L’UE dal canto suo “potrebbe fare molto di più per promuovere l’uso di fonti rinnovabili basate sul legname – ha aggiunto il Presidente dell’ARE. “Molte delle nostre regioni – ha proseguito – sono ricche di foreste, eppure solo il 3% della produzione totale di energia deriva dal legno. Le regioni meno sviluppate, in particolare, hanno bisogno di incentivi per sfruttare queste potenzialità”.
All’opposto, quando esistono fondi in grado di coprire le esigenze di tali Enti per progetti strutturali rivolti alla riqualificazione e allo sviluppo del settore energetico, vengono a costituirsi validi esempi da parte di alcune regioni che, a seguito della produzione di energia da fonti rinnovabili in quantità superiore rispetto ai livelli europei prefissati (20%), riescono a coprire tra l’88 ed il 100% del proprio fabbisogno di elettricità. Le centrali idroelettriche nei territori di Trento (IT), Oppland (N), Norbotten (S) e Maramures (RO) ne sono un esempio.
Le regioni devono perciò essere aiutate nel migliorare la qualità ambientale tramite l’utilizzo di strumenti finalizzati all’incremento della produzione di energia pulita nel totale rispetto delle disposizioni in campo energetico dettate dai Piani europei.
fonte: rinnovabili.it
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