Parole, queste, con cui Janet Larsen, direttore di ricerca dell'Earth policy institute, ha espresso fiducia nella volontà del presidente Obama di sostenere un accordo di ampio spessore nella vicina conferenza di Copenhagen. Secondo Larsen, che ha tenuto oggi un intervento sul legame tra clima ed economia nell'ambito della prima giornata del VII forum internazionale per la salvaguardia della natura (Viterbo, da oggi a domenica 29), le preoccupazioni successive a quello che definisce come il "China trip" del presidente Obama sono esagerate, nel senso che non è da attendersi che dalla conferenza di Copenhagen esca un nulla di fatto o un accordo minimale sul contrasto/adattamento al global warming.
Sostiene infatti l'economista americana che «molta gente ha visto il viaggio di Obama in Cina come un punto di svolta, ma io credo che non dobbiamo attenderci, da Copenhagen, niente di meno di ciò che il presidente ha promesso di portare avanti fin dalla campagna elettorale».
Dottoressa Larsen, al di là di ciò che avverrà a Copenhagen, appare interessante la sua opinione di esperta (e di cittadina americana) riguardo al serrato dibattito che - soprattutto negli Usa - si svolge riguardo alla tecnologia del carbon capture and storage. A che punto siamo? E qual è il suo parere sulle prospettive legate al Ccs?
«Personalmente ritengo che il Ccs sia una forma di distrazione dagli obiettivi di riconversione energetica: una scelta legata alle energie del secolo passato, finalizzata a poter continuare ad usare il carbone, sostanzialmente. E sappiamo bene che il carbone è il combustibile fossile con maggiore effetto climalterante.
Inoltre, occorre considerare che il modo comune di cavare il carbone, e cioè quello di estrarlo dal terreno in profondità (il "ground mining", cioè) è in via di abbandono per motivi di economicità del prelievo: lo sta sostituendo, almeno negli Stati uniti orientali, la pratica del "mountaintop mining", cioè la realizzazione di cave in cima alle montagne, dove le risorse carboniche sono situate più vicino alla superficie.
Questa pratica ha non solo effetti sul clima, ma anche sulla salute delle persone, oltre che sulla qualità dell'acqua nelle aree circostanti: anche se riuscissimo, magari col Ccs, a limitare le emissioni nette di CO2, quindi, resterebbero comunque i problemi sanitari e legati all'acqua. E ricordo anche che le comunità accettano la pratica del mountaintop mining perchè si ritiene che aumentino i posti di lavoro, ma il problema è che poi aumentano, per le criticità citate, anche i casi di tumore».
In Italia, molti analisti rifiutano le opzioni di coesistenza tra energia nucleare e rinnovabili. Ragionando in termini di limitatezza delle risorse economiche e logistiche (cioè, come diciamo in Italia, in termini di "coperta corta") molti giungono alla conclusione che o si investono risorse, tempo, sussidi, credibilità politica nella conversione verso le rinnovabili, oppure lo si fa in direzione del sostegno al nucleare. Qual è la posizione di Obama?
«Obama è aperto a tutte le opzioni energetiche, nucleare compreso. Fin dalla campagna elettorale ha sostenuto che il nucleare può far parte della torta energetica, ma ne ha sottolineato i problemi: in primis le scorie, e la mancanza di un luogo dove esse siano stoccabili definitivamente.
Come Earth policy institute riteniamo che, soprattutto davanti alla situazione economica attuale, il nucleare sia un obiettivo essenzialmente anti-economico: la costruzione degli impianti richiede forti sussidi pubblici, e infatti le più grandi banche americane non stanno più investendo sul nucleare con i loro finanziamenti. E certo queste banche non hanno smesso di finanziare il nucleare per salvare l'ambiente, e nemmeno perchè preoccupate per la percezione pubblica riguardo al loro operare: anche secondo le banche, è ovvio, i problemi connessi al nucleare sono in primo luogo di matrice economica».
fonte: greenreport.it
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