martedì 24 novembre 2009

E allora chiamiamolo "Climategate" (tanto quello che conta è il titolo a effetto...)

La notizia sta facendo il giro del mondo, e diventerà quasi certamente il leit motiv mediatico delle tre settimane che ci separano dalla conferenza di Copenhagen: è successo che qualcuno (non si sa chi, "non si sa" perchè) è riuscito a rubare dei file da uno dei server di cui usufruisce il Climate research unit (Cru), centro di ricerca climatologica inglese dipendente dall'università dell'East Anglia, e tra i più accreditati nell'intera comunità scientifica. Secondo un'altra versione (quella riportata dal sito del "Corriere", che non ha perso l'occasione di titolare «Sul clima dati falsificati» e di parlare di «trucchi degli scienziati») i file sono stati rubati dal blog di uno scienziato della Nasa, Gavin Schimdt.

In questi file sono raccolte migliaia e migliaia di mail che i ricercatori della Cru si sono scambiati tra essi e con altri studiosi (compresi quelli della Nasa) in varie parti del mondo, ma anche con altri interlocutori, negli anni dal 1996 al 2009. Il "ladro" (o i ladri) dei file li ha rapidamente postati su alcuni siti di file sharing, da cui le mail sono state poi prese e pubblicate da vari blog e media di impronta scettica, ma successivamente - nel giro di poche ore - è stato creato un vero e proprio sito apposito (anelegantchaos.org) dove le corrispondenze sono state ordinate per data e dove è stato reso disponibile un efficiente motore di ricerca interno. Questo dettaglio fa già capire molte cose, ma ci ritorneremo successivamente.

Il contenuto dell'intero novero di mail rubate non è stato visto praticamente da nessuno, perchè la mole di documenti presenti è enorme (a seconda delle versioni si va da 160 a 200 Mbyte di soli file di testo) e, in particolare in Italia, la pubblicazione degli scambi di corrispondenza è stata limitata dalle normative sulla protezione dei dati personali. Quindi, chiunque (noi compresi) parli della vicenda lo fa dopo aver consultato più documenti possibili, ma in parte riportando segnalazioni altrui. Tra le poche persone ad aver letto l'intera cartella, a parte chi ha postato le mail rubate e creato un sito apposito, si annoverano i responsabili di alcuni noti blog statunitensi di impronta scettica: peraltro, forti dubbi sono sorti anche sull'autenticità delle corrispondenze, ma i ricercatori consultati dal quotidiano Guardian e dalla Bbc hanno sostenuto che, da quel poco che hanno potuto vedere, il materiale è genuino, e eventuali "ritocchi" potranno essere scoperti solo nei prossimi mesi.

Il contenuto delle mail, per quanto abbiamo potuto vedere, è praticamente un concentrato di climatologia sperimentale, comunicazione scientifico-mediatica e "varia umanità": nella terza categoria vanno compresi gli epiteti e gli sfottò rivolti ad alcuni scettici piuttosto influenti nel dibattito in rete (e ai quali i ricercatori si suggeriscono di "non fornire eco mediatica" tramite i propri siti ufficiali, vigilando cioè sui commenti agli articoli scientifici, che spesso gli scettici trasformano in una tribuna politica), gli aggressivi sfoghi di ricercatori stufi di essere additati come ciarlatani da parte di normali cittadini che non si intendono della materia, ma anche scambi di corrispondenza in cui gli esperti si chiedevano consigli sul modo in cui presentare ai media i dati e le ricerche. E soprattutto - in certi casi, e questa sembra essere la questione più scottante - si possono leggere scambi di mail in cui centri di opinione di diversa estrazione (es. Greenpeace, o associazioni di imprenditori) chiedevano agli studiosi di evidenziare con più o meno enfasi i rischi connessi al global warming, anche se va sottolineato che, dalle mail incriminate a questo riguardo, non sembra emergere niente di più di normali comunicati stampa o comunque documenti non riservati che raccontano normali (e legittime) azioni di lobbying, peraltro condotte in entrambe le direzioni pro- e anti-gw.

E non mancano, tra i documenti consultati, anche corrispondenze, come quella (del 1999) citata dal "Corriere", che possono essere lette sotto una duplice lente, nel senso che da una parte possono sembrare la prova provata del fatto che i ricercatori hanno "truccato i dati" del global warming, ma dall'altra parte possono semplicemente indicare un procedimento normalmente attuato nella modellistica sperimentale per capire l'effetto associato all'inserimento di nuove variabili.

Il punto è che le analisi, gli studi, le ricerche sul gw non provengono assolutamente da due soli centri di ricerca: esiste una comunità scientifica e climatologica mondiale che, dal 1988, riunisce i suoi studi nel rapporto Ipcc, cioè nel rapporto Onu sul clima. In questi 30 anni, le conoscenze in materia si sono evolute grazie al contributo di centri di ricerca di tutto il mondo, anche italiani, e oggi (dopo il 4° report Ipcc del 2007) le conclusioni cui attualmente è giunta la scienza descrivono come «indubitabile» (unequivocal) la fase di riscaldamento che il pianeta sta subendo (quantificata nel rapporto Ipcc in un range «da 0,56° a 0,92° C dal 1906 al 2005»), e come «molto probabile» il fatto che tutti i continenti, eccetto l'Antartide, abbiano sperimentato negli ultimi 50 anni un significativo riscaldamento di origine antropica.

Riassumendo, possiamo dire che la scienza oggi non ha più dubbi sull'esistenza del gw, mentre ambiti di incertezza restano sulla fondamentale questione del ruolo antropico, cioè di quella "sensibilità climatica" la cui esatta conoscenza ci permetterebbe di calcolare al dettaglio l'esatta correlazione tra gas climalteranti e temperatura, e quindi di produrre previsioni per il futuro più precise e cogenti.

Così non è: sussistono tuttora dubbi (anche di livello scientifico) su vari aspetti relativi alla sensibilità climatica, e il principale è proprio il suo effettivo valore: è in questo interstizio che da anni - e in particolare da dopo la diffusione di internet a livello di massa - si inseriscono le obiezioni di livello scientifico alla radice antropica del gw, e anche quelle "amatoriali", cioè provenienti dal cosiddetto web 2.0. Obiezioni, quest'ultime, che in certi casi hanno addirittura portato i centri di ricerca a riconsiderare alcuni dati pubblicati (successe qualche anno fa con i dati della Nasa, anche se la correzione fu minima perché minimo era l'errore), ma che nella stragrande maggioranza dei casi erano finalizzate più a poter pubblicare titoli sensazionalistici, e a minare la consapevolezza globale sul gw, che a dare un contributo al ristabilimento dell'esattezza.

L'affaire che si è creato, insomma, sembra più che altro un modo per far sì che i delegati che tra venti giorni giungeranno a Copenhagen siano tormentati da ulteriori dubbi sull'urgenza di agire in direzione della mitigazione/adattamento al gw. Un ulteriore assalto politico al principio di precauzione basato sul fatto che nessuno, al di fuori di pochi, leggerà le migliaia di mail, ma tutti "sapranno" (grazie alla campagna mediatica che è partita, e che nei prossimi giorni continuerà) che "qualcosa non va", anche se non è vero: questo è ciò che la vicenda sembra in poche parole.

Di solito, sui media, il titolo è (più o meno) funzionale alla notizia: ecco che in questo caso (come in varie altre occasioni analoghe) avviene il contrario, e la notizia diventa in pratica funzionale al titolo. E il punto fondamentale è capire chi ha rubato i dati, e quindi chi li ha diffusi su internet dopo aver compiuto un enorme lavoro di cernita e di presentazione: perché se pensiamo che sia stato un ragazzino, o magari un blogger scettico con molto tempo a disposizione, allora è un conto. Ma se immaginiamo che qualcuno non solo abbia letto la corrispondenza riservata della Cru, ma che magari abbia monitorato in questi anni questa corrispondenza, e magari abbia scelto deliberatamente il momento in cui pubblicare le mail, e magari non l'abbia fatto per pura passione, allora il discorso diventa ben diverso.

fonte: greenreport.it

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