Creare occupazione e salvaguardare l’ambiente. Forse è questo il mondo del lavoro che sta nascendo per l’azione combinata di vari fattori: gli accordi per la riduzione delle emissioni di gas serra, la crisi economica, la necessità di puntare sull’efficienza energetica, il nuovo appeal dell’ecologia che può originare una domanda di prodotti «verdi» tale da condizionare produzione e offerta. Tra i 100 lavori verdi per l’Italia di domani ci sono professioni come «l’ecochef», che dovrà creare menu basati su ingredienti provenienti da produzioni locali, tipiche, di qualità, e magari biologiche, tenendo conto del loro impatto ambientale. Un impiego «curioso»? Forse no, visto che nel 2008 i ristoranti «bio» in Italia erano 360, gli agriturismi con menu biologici 1.178, e quasi un milione i pasti bio serviti nelle mense scolastiche. C’è anche l’ecoparrucchiere, che usa apparecchi elettrici di ultima generazione, controlla la climatizzazione del salone, fa la raccolta differenziata e abbatte dell’80% i consumi di energia e fino a 2/3 quelli d’acqua.
Nemmeno questa è una boutade : il libro calcola che i 150 mila parrucchieri italiani ogni anno emettano 800 mila tonnellate di CO 2 , tanto che l’estate scorsa sono partiti i corsi dell’Oreal-Federparchi per «parrucchiere sostenibile». Certo, tagliare i capelli non è un’occupazione nuova, ma quasi nessuna delle professioni elencate dalla guida lo è. Molti cosiddetti ecolavori sono «profili professionali tradizionali arricchiti da nuove competenze ambientali o inseriti in contesti nuovi». Si può fare un lavoro verde anche costruendo automobili, se si creano sistemi di alimentazione ibridi o auto elettriche. In quest’ottica, e visti i numeri delle ecomafie, non stupisce che uno dei green jobs sia il carabiniere in forza al Nucleo operativo ecologico. Ogni lavoro può essere verde: lo stilista sostenibile coniugherà l’estetica con l’ambiente e i diritti (un po’ come Stella McCartney con il suo prêt-à-porter ecologico); l’avvocato ambientale sfrutterà il fatto che molte aziende avranno bisogno di consulenze in materia; il marketing ambientale diventerà strategico; l’ecodiplomazia sarà un settore fondamentale nei rapporti internazionali; le aree protette attireranno turisti, che chiederanno prodotti locali e biologici e quindi sproneranno l’attività del settore agricolo. Uno studio uscito negli Stati Uniti a inizio 2009 da Fast Company, che si occupa di tendenze economiche, metteva il contadino al primo posto tra i 10 lavori del futuro per il mercato Usa. Intanto, in Italia, ci sono aziende che investono nella ricerca e creano microrganismi non biotech in grado di trasformare gli escrementi dei bovini allevati con antibiotici e ormoni in concime biologico, e altre che fanno pallet per imballaggi in legno certificato e convincono i clienti a comprare intere foreste ancora da piantumare, dalle quali verrà il legno dei pallet futuri. Chissà investendo sulla prevenzione del dissesto idrogeologico quanti posti di lavoro nascerebbero attorno ai nostri 28.021 km 2 di territorio a rischio frana o alluvione...
fonte: corriere.it
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