martedì 21 ottobre 2008

Se il governo minaccia ma poi a porte chiuse tratta

Come accade purtroppo spesso, quando la politica italiana varca i confini nazionali per arrivare in Europa sembra perdere ogni nesso tra quello che annuncia e quello che fa. È successo anche ieri a Lussemburgo, dove al consiglio dei ministri dell'Ambiente il governo italiano ha dovuto affrontare il primo scontro concreto con la Commissione e con la presidenza francese sul pacchetto clima, che dovrebbe essere approvato al vertice di dicembre.

Il giorno precedente l'incontro, il ministro Matteoli aveva solennemente annunciato che Roma avrebbe chiesto di rinegoziare gli accordi di Kyoto. Naturalmente non se ne è fatto cenno, visto anche che quello di Kyoto è un trattato internazionale firmato oltre dieci anni fa e che scadrà tra tre anni. Sempre alla vigilia dell'incontro, fonti del governo avevano reso noto che l'Italia avrebbe chiesto un rinvio della decisione sul nuovo pacchetto Ue al 2009. Ma neppure di questa richiesta si è trovata traccia nei verbali del Consiglio.

Più modestamente, il ministro dell'Ambiente Stefania Prestigiacomo, entrando in riunione ha spiegato ai giornalisti che avrebbe domandato a nome del governo di inserire una "clausola di revisione", che è un preciso meccanismo legale, in modo da riaprire il negoziato sul pacchetto clima-energia alla luce di una più attenta valutazione del rapporto costi/benefici. Ma poi, al momento di entrare nella sala delle riunioni, deve essersene dimenticata perché nessuno dei ministri presenti si è accorto di una simile richiesta.

La leggera schizofrenia che circonda la politica italiana all'estero ha avuto anche un consistente strascico alla fine del Consiglio. Il ministro Prestigiacomo, infatti, ha avvertito che se le richieste italiane non saranno accolte non sarà possibile arrivare ad un accordo al vertice di dicembre: "se non ci sarà unanimità, il pacchetto clima non sarà chiuso". Si presume che queste cose, oltre a dirle ai giornalisti, le abbia spiegate anche ai colleghi ministri. Ma questi erano evidentemente distratti. Il presidente di turno, il francese Jean Louis Borloo, ha infatti dichiarato che "vi è una volontà forte degli stati membri per intensificare i lavori e arrivare un accordo sul pacchetto clima ed energia prima di fine anno", ed ha negato che su questi temi esista un "caso Italia".

Ironicamente, il ministro svedese Andreas Carlgren, interrogato sulla dura opposizione italiana, ha spiegato che "da quel che capisco, alcuni ministri sono stati chiaramente più critici nelle dichiarazioni che hanno rilasciato ai loro media nazionali che nel corso della discussione tenutasi al Consiglio".

Al di là della sgradevole impressione che questa dicotomia tra il dire e il fare dovrebbe lasciare nell'opinione pubblica, il fatto che il governo italiano abbia rinunciato ai toni ultimativi è in realtà una buona notizia. Significa infatti che le parti hanno cominciato a negoziare sul serio non sulle questioni di principio ma su concreti dettagli tecnici, dove probabilmente c'è margine per strappare qualche ulteriore concessione.

Un altro positivo ritorno al principio di realtà si è avuto ieri, quando il ministro Prestigiacomo ha riconosciuto esplicitamente che, mentre l'Unione europea riuscirà a rispettare gli accordi di Kyoto, l'Italia non sarà probabilmente in grado di onorare gli impegni assunti. "Dobbiamo cominciare a pensare sul serio che, se continuiamo così, non raggiungeremo l'obiettivo di Kyoto", ha detto il ministro. Ed ha ammesso che "neanche il nucleare potrà contribuire al conseguimento dell'obiettivo, perché non arriverà prima del 2012". L'unica cosa che non ha spiegato è quanto costerà questa inadempienza agli industriali, che ora si preoccupano del futuro pacchetto europeo, e ai contribuenti italiani

fonte: repubblica.it

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