giovedì 9 ottobre 2008

Alghe nel motore

Per rendere più sostenibile il biodiesel un progetto che parte da una materia prima che non entra in competizione con il comparto alimentare e non richiede ingenti investimenti per il suo sfruttamento. L'iniziative di Unione produttori biodiesel e Assocostieri

L'Unione Produttori Biodiesel e Assocostieri sono i partner di un progetto di studio sul biodiesel di seconda generazione, ricavato dall'olio di alghe. Il progetto che possiede un nome dinamico e musicale, Mambo, ha lo scopo di sostituire gli oli derivanti da piante oleaginose utilizzati per la produzione di biodiesel con una materia prima che non entra in competizione con il comparto alimentare e che non richiede ingenti investimenti per il suo sfruttamento.

Obiettivo finale dello studio è quello di dimostrare la fattibilità tecnica, economica ed ambientale di un impianto in grado di garantire una produzione media annuale non inferiore alle 10 tonnellate per ettaro coltivato. I risultati preliminari di Mambo dimostrano che la produttività bioenergetica delle microalghe risulta decisamente superiore a quella delle colture tradizionali. Le microalghe, infatti, non solo sono in grado di realizzare il processo di fotosintesi con efficienze di conversione dell'energia solare superiore a quella delle colture terrestri tradizionali, ma sono anche caratterizzate da un alto contenuto di lipidi (fino al 60% della biomassa) utilizzabile come biocombustibile.

In tutto il mondo si sta lavorando intorno a questa originale "filiera": Solazyme, una impresa di San Francisco, ha progettato un sistema per la produzione di alghe che consente all'industria di produrre olio combustibile utilizzando la tecnologia attualmente presente e senza la necessità di utilizzare energia per la conversione e la distillazione del combustibile, come invece accade per altri processi (ad esempio per la produzione di bioetanolo) ed un risparmio in termini energetici a seguito della mancata coltivazione.
Fabbricare combustibile dalle alghe impiantando una raffineria alle Hawaii rappresenta la conversione colonica della Shell. La multinazionale del petrolio, infatti, intende coltivare le alghe in modo tale da produrre biodiesel costruendo raffinerie in luoghi dove già da anni si studiano le proprietà terapeutiche e nutrizionali delle alghe.
Per il combustibile saranno utilizzate alghe autoctone o importate, con autorizzazione del dipartimento dell'agricoltura locale. Ed anche il progetto Greenfuel di Isaac Berzin, scienziato del MIT, che prevede di catturare la Co2 emessa dalle ciminiere delle attuali centrali attraverso l'utilizzo delle alghe, per poi riconvertirle in biocarburante sta per trovare una concreta applicazione attraverso un accordo con la sudafricana De Beers Fuel Ltd per la realizzazione di un primo impianto.

E De Beers ha a sua volta firmato un accordo con la Green Star Usa per la costruzione di ben 90 impianti per la produzione di biodiesel, localizzati nei pressi di altrettante centrali elettriche. L'obiettivo, come nel caso di Greefuel, è quello di sfruttare la capacità delle alghe di catturare il 40-80% di anidride carbonica emessa dagli impianti e oltre l'80% degli ossidi di azoto. E inoltre la possibilità di sfruttare il meccanismo dell'emission trading per vendere crediti alle aziende europee più inquinanti.

Stesso principio applicato in Israele dove è attivo un impianto test dell'alleanza tra Inventure Chemical e Seambiotic dove le alghe destinate a produrre bio carburanti crescono grazie alle emissioni di una vicina centrale elettrica alimentata a carbone, un'iniziativa che ha destato l'interesse di tre linee aeree che si sono unite all'Algal Biomass Organizatione un'organizzazione non-profit dedicata alla ricerca in questo campo, per dare vita a un progetto di impiego su larga scala

fonte: lanuovaecologia.it

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