Il voto conferma l'obiettivo di riduzione delle emissioni di gas serra del 20% entro il 2020, che passerebbe automaticamente al 30% in caso di accordo internazionale alla conferenza di Copenaghen del dicembre 2009 sul periodo post-Kyoto. Un obiettivo che in questi giorni era stato bersaglio di attacchi concentrici da parte di governi e settori industriali in forte ritardo nelle riconversione verde, a iniziare proprio da quelli italiani. Contro la conferma del pacchetto Ue si erano scagliati infatti nei giorni scorsi sia il ministro per le Politiche comunitarie Andrea Ronchi, sia il presidente di Confindustria Emma Marcegaglia. Ma a cercare di gettare i bastoni tra le ruote del percorso ambientalista intrapreso da Bruxelles erano anche molti paesi dell'ex blocco comunista, Polonia in testa.
Il voto di questa mattina conferma anche la posizione iniziale della Commissione europea riguardo ai permessi di emissione, che prevede fin dal 2013 l'obbligo per il settore energetico di acquistare all'asta il 100% delle emissioni attribuite a ciascuna installazione (oggi le quote di anidride carbonica sono assegnate gratis, e si paga solo in caso di superamento dei tetti previsti).
Nel 2013, gli altri settori industriali, invece, dovranno pagare solo per il 15% dei loro premessi di emissione, ma ogni anno questa percentuale aumenterà fino a raggiungere il 100% nel 2020. E' previsto, tuttavia, che entro il 31 marzo 2010 la commissione valuti l'opportunità di concedere un trattamento di favore ai settori ad alto consumo energetico (acciaio e cemento in particolare), dopo aver preso in conto i risultati e l'eventuale accordo internazionale di Copenaghen.
Dove si concentrano però gli aspetti più ambigui e controversi è la parte del pacchetto che affronta il futuro del carbone, la fonte energetica dal maggior impatto sul clima. Un emendamento approvato prevede che dal 2015 sia proibito costruire centrali termoelettriche che emettano più di 500 grammi di CO2 per kilowatt ora generato. Questa disposizione mette al bando, di fatto, le centrali a carbone, a meno che non siano dotate della tecnologia Ccs (carbon capture and storage), ovvero un dispositivo di "cattura" delle emissioni e il loro stoccaggio in un deposito geologico.
Un tecnologia ancora agli albori (il primo e unico impianto è stato inaugurato recentemente in Germania) che gli ambientalisti avversano fortemente, ritenendola poco sicura (chi garantisce che in futuro non ci siano fughe di CO2?) e soprattutto colpevole di drenare risorse che potrebbero essere molto più proficue se investite nel miglioramento delle fonti rinnovabili. "Una truffa per tenere in piedi l'industria del carbone", non esita a definirla Greenpeace.
Con un voto separato su un altra sezione del pacchetto clima-energia, gli eurodeputati della commissione Ambiente hanno approvato infatti la proposta di destinare al sostegno finanziario di 12 progetti pilota di impianti Ccs, nel periodo 2013-2020, il ricavato derivante dalla messa all'asta dei permessi relativi a 500 milioni di tonnellate di CO2 (pari a circa 10 miliardi di euro agli attuali prezzi di mercato).
Soprattutto per questo motivo la soddisfazione di Greenpeace non è completa. "Il Parlamento - afferma una nota dell'associazione ambientalista - ha confermato che l'obiettivo unilaterale per la riduzione dei gas serra scatterà al 30% in caso di raggiungimento di un accordo internazionale per la seconda fase di Kyoto. Tuttavia - si legge - sono stati stanziati nuovi sussidi all'industria del carbone, concedendo crediti di CO2 per 10 miliardi di euro a progetti di cattura e sequestro della CO2. La patata bollente passerà ora nelle mani del Consiglio europeo dell'energia il prossimo 10 ottobre"
fonte: repubblica.it
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