La ricerca, che sarà inserita anche nel prossimo numero di Science, non è una delle tante pubblicazioni che quotidianamente vengono prodotte nel mondo scientifico. Si tratta di un lavoro estremamente complesso, che nel corso di un quinquennio ha permesso di raccogliere dati su tutte le 5.487 specie di mammiferi classificate a partire dal Cinquecento. Un'operazione simile, ma meno completa, era stata condotta dall'IUCN nel 1996 ed è servita ad esempio per pianificare interventi di tutela.
Orsi polari, ippopotami e grandi scimmie sono solamente alcune delle vittime di un declino su larga scala. Quello tracciato a Barcellona è un vero e proprio bollettino di guerra. In totale, le specie a rischio di estinzione, a vari livelli, sono 1.141, e cioè il 25% di quelle sulle quali ci sono dati sufficienti a disposizione. Per i mammiferi marini, la situazione è ancora peggiore: quelli in pericolo sono addirittura il 36%, più di uno su tre. E se negli ultimi 500 anni 76 specie sono già scomparse, 29 sono ormai considerate potenzialmente estinte e due, l'orice dalle corna a sciabola ed il cervo di Padre David, sopravvivono solamente in cattività. "E' spaventoso pensare che dopo milioni e milioni di anni di evoluzione ci troviamo in una crisi simile", dice Andrew Smith dell'Arizona State University. "I mammiferi sono importanti perché hanno un ruolo chiave negli ecosistemi: se perdi un mammifero, spesso rischi di perdere molti altri animali".
L'elenco delle cause lascia pochi dubbi: il principale colpevole di questa situazione è l'uomo. Solamente il 2% delle specie ha avuto problemi di malattie. Secondo i ricercatori, invece, i mammiferi terrestri sono colpiti soprattutto dalla perdita, dal degrado e dallo sfruttamento degli habitat, mentre quelli che vivono in mare sono sterminati dalle reti da pesca e da varie forme di inquinamento, tra le quali anche quello sonoro che colpisce soprattutto i cetacei. Su tutti, infine, incombe la spada di Damocle dei cambiamenti climatici, che potrebbero avere conseguenze sempre più pesanti.
I mammiferi di grandi dimensioni sono i più vulnerabili. In genere, infatti, hanno una minore densità di popolazione e cicli vitali più lenti, necessitano di territori più ampi e sono più facili da cacciare. La situazione è particolarmente difficile nelle aree del pianeta dove alla deforestazione si unisce un crescente impatto dell'uomo sulla natura. Nell'Asia meridionale e sud-orientale, zona dove vive ad esempio l'orango, è minacciato addirittura il 79% dei primati.
Secondo gli autori dello studio, nei prossimi anni potrebbe andare anche peggio. La popolazione del 52% delle specie di mammiferi su cui si hanno dati sufficienti è infatti in calo. Questo significa che, se non saranno prese contromisure adeguate, l'elenco degli animali in pericolo è destinato ad allungarsi. Eppure una piccola speranza c'è: il 5% delle specie a rischio non è più in declino o si sta riprendendo. Tra queste c'è il bisonte europeo, del quale erano rimasti pochi esemplari in cattività e che oggi è tornato a vivere in alcuni parchi naturali. È la dimostrazione che, anche nei casi più disperati, si può fare ancora qualcosa
fonte: repubblica.it
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