Nella città israeliana per rispondere alle crisi energetiche e al traffico, da anni, si utilizzano le biciclette. I ciclisti sempre più padroni delle strade. Un esperimento ha dimostrato che le auto, per muoversi in città, sono i mezzi più lenti dietro al servizio pubblico e alle biciclette. Il ciclista tipo è donna, ha tra i 20 e i 30 anni e appartiene a una classe media o medio alta
In anni di crisi energetiche ricorrenti, che però qui non sembrano particolarmente sentite, Tel Aviv si muove a due velocità: da un lato le automobili, più lente perché impastoiate nel traffico, dall'altro le due ruote. Che, a differenza di molte città italiane come Roma o Napoli, girano mosse non da un motore a scoppio, ma da vigorosi colpi di pedale.
I ciclisti stanno diventando sempre di più padroni della metropoli israeliana e signori quasi incontrastati della viabilità. L'ultima, cocente frustrazione gli automobilisti l'hanno provata nei giorni scorsi. In un esperimento comparato organizzato dal gruppo ecologista SPNI e dal "Green Forum", consistente nel coprire i sei chilometri di distanza tra il sobborgo di Petah Tikva e la stazione ferroviaria di Tel Aviv in un'ora di medio traffico, le macchine sono arrivate ultime, dietro ai mezzi pubblici e alle trionfanti biciclette.
Del resto la città si presta, perché nonostante Tel Aviv significhi "collina della primavera", è vera solo la seconda parte del nome. Colline infatti ce ne sono ben poche, a eccezione di qualche dislivello di poche decine di metri. Favoriti anche dall'istituzione di piste ciclabili in quasi tutti i quartieri, i ciclisti approfittano del nuovo spirito ecologico che anima gli amministratori municipali e non si fermano davanti a nulla e nessuno, comportandosi come se fossero pedoni, quasi ignorando sensi di marcia, precedenze, semafori o marciapiedi.
Colpisce che difficilmente si sentono i pedoni veri protestare per le "soperchierie" delle biciclette. Che sfiorano i passanti, incuranti dell'età o del fatto che possano spingere una carrozzina con dentro un bambino, cosa molto più comune che nella vecchia Europa.
Volendo tentare di dipingere il ciclista di Tel Aviv, non si deve pensare a una classe di cittadini meno abbienti, attenti al portafogli e ambientalisti giocoforza. Il pedalatore tipico è tra i 20 e i 30 anni e appartiene a una classe sociale media o anche medio alta. Qualche volta è un dirigente che, tra i 'fringe benefit', gode anche quello di poter fare la doccia in ufficio.
Uno 'yuppie' che, senza particolari traumi, potrebbe trapiantarsi in qualsiasi grande contesto urbano della post-motorizzazione, come Londra o New York, e che ha superato la fase dello struscio con la fuoriserie da 300 cavalli, che pure in Israele - e soprattutto a Tel Aviv - si vede con frequenza anni fa impensabile.
I ciclisti però appartengono a un'altra categoria. Fatta di zainetti, anarchico sprezzo del codice della strada e minimalismo, che nel caso delle ragazze - forse più numerose degli uomini - si riflette nella quantità di stoffa servita a confezionare pantaloncini e gonne, così mini da sembrare cinture.
Oltre a questa Tel Aviv, ce n'é un'altra che pure va sulle due ruote mosse dalla forza dei muscoli. Sta nel quartiere ultraortodosso di Bnei Brak, dove i molti 'haredim' che si muovono sulle bici, spesso vecchi arnesi neri come le loro palandrane, lo fanno per ragioni soprattutto economiche. Uno scenario che (a parte l'onestà cui sono tenuti i timorati) potrebbe sembrare una ricostruzione ebraica del set di 'Ladri di biciclette'fonte: lanuovaecologia.it
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