I GHIACCIAI ITALIANI SI SONO RIDOTTI DEL 40% IN 150 ANNI - L’effetto più visibile dei cambiamenti climatici in corso sulle Alpi è, come è noto, la regressione dei ghiacciai; il comitato glaciologico calcola che dalla metà del XIX secolo se ne è persa una superficie pari al 40%. Nell’Italia centrale una prima vittima illustre è il ghiacciaio del Calderone, a 2800 metri di quota sul Gran Sasso d’Italia (m. 2.912) che si sta lentamente sciogliendo – si considera glaciologicamente morto - e con esso il suo primato, quello di essere il ghiacciaio più a sud d’Europa, proprio a causa del progressivo innalzamento della temperatura della Terra. In Lombardia nell'ultimo biennio si sono estinti 30 ghiacciai, tra quelli più piccoli, più esposti a sud e ad altitudini minori, ma anche i ghiacciai più grandi e meglio esposti non sfuggono alla tendenza generale, in quanto dal 2003 sono tutti in drastica diminuzione di superifice e spessore. La perdita media di spessore dei ghiacciai lombardi negli ultimi 20 anni è stata di 2 metri all'anno: un esempio eloquente è il ghiacciaio dell'Alpe Sud (Valtellina, SO) che ha perso negli ultimi 10 anni circa 16 metri di spessore.
GLI ANIMALI COINVOLTI - Modificazioni di questa portata nell'ambiente naturale, come è ovvio, cambiano anche le condizioni di vita di piante e animali. Se per la flora alpina un recente studio, durato 3 anni, condotto dall’Università di Pavia e coordinato dal Wwf, ha rilevato la "fuga" verso l’alto per gli animali il nuvo quadro rilevato dal Wwf è, se possibile, ancora più drammatico. Le specie che vivono al freddo, pur cercando di adattarsi alle nuove condizioni, si trovano in grave affanno. I casi più emblematici riguardano la pernice bianca e l’ermellino, caratterizzate da un abito bianco durante l’inverno, prezioso per difendersi dai predatori e del tutto inutile, anzi pericoloso in assenza di neve. La pernice è ormai considerata sull’orlo dell’estinzione e in Italia ne sopravvivono solo 5mila coppie. Lo Stambecco, una delle specie simbolo dell’arco alpino, sembra soffrire in modo importante per i cambiamenti climatici in atto.
Da studi condotti nel Parco Nazionale Gran Paradiso (dove sono presenti 50 anni di dati sulla dinamica di popolazione dello stambecco) e in collaborazione con il Centro Nazionale delle Ricerche di Torino (CNR), risulta che dal 1992 ad oggi, la popolazione è decresciuta in modo drammatico, passando da quasi 4000 individui a meno di 2500. I dati hanno inoltre messo in evidenza come il tasso di mortalità della popolazione non sia mettere in relazione con la morte degli individui più anziani , ma con un calo della sopravvivenza media annuale dei piccoli, variato dal 70% al 25% in pochi anni. Secondo i ricercatori, il riscaldamento globale avrebbe la capacità di influire sulla mortalità dei piccoli di ungulati attraverso un cambiamento dello stato della vegetazione presente nei primi mesi della loro vita: in poche parole verrebbe a mancare la sincronia che permette ai piccoli di stambecco di mangiare cibo di alta qualità e affrontare in modo adatto l’inverno successivo.
fonte: corriere.it
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