Erano il 40%, nel 2006, gli italiani che ritenevano di appartenere al ceto popolare o alla classe operaia, oggi sono il 46%. Quanti si "sentono" ceto medio sono diminuiti dal 54 al 49%. Si è ulteriormente assottigliata anche la componente di chi si definisce ceto superiore, che comprende appena il 5% della popolazione. Chi lavora come operaio tende, prevedibilmente, a posizionarsi nella parte bassa della gerarchia sociale. Ma, in misura maggiore rispetto ad altre categorie, ritiene di essere arretrato: nel 2006 gli operai comuni che si definivano ceto popolare/classe operaia erano il 71%, oggi sono l'84%. Lo stesso avviene per quelli specializzati: il dato è salito dal 58 al 68%. E' una tendenza che non si registra tra chi lavora in modo indipendente.
Questa "sindrome del declino", dunque, colpisce in modo diverso le componenti della società italiana. Dal 2006 a oggi la quota di cittadini che ritiene peggiorata la situazione economica personale è salita dal 36 al 51%. E' una valutazione che tocca in particolare quanti sentono di appartenere alla categoria dei ceti popolari: ne soffre il 63% (era il 44% due anni fa). Lo stesso andamento si registra presso i ceti medi (42%) e in quelli superiori (38%), ma in misura più contenuta rispetto al dato generale.
Nell'opinione degli italiani, ciò che differenzia maggiormente la classe operaia dal ceto medio non è tanto la considerazione e l'immagine sociale, che perde importanza come fattore di distinzione (dal 26 al 18%), ma aspetti tangibili. La ricchezza economica oppure il possesso di beni come la casa sembrano, rispetto al passato, discriminare maggiormente: averli o meno condiziona, infatti, il benessere delle famiglie in situazioni di difficoltà.
Se la valutazione retrospettiva non è buona, quella sul futuro non si presenta migliore. Il sentimento di incertezza compromette la progettualità delle famiglie e la voglia di guardare avanti in ottica costruttiva. Secondo i dati Demos-Coop, il 54% degli italiani ritiene inutile fare progetti impegnativi per sé e per la propria famiglia. Tra quanti si ritengono ceto popolare/classe operaia si arriva al 60% e al 50% nelle classi medie. La quota si abbassa solo fra chi ritiene di essere parte del ceto superiore (29%).
Un quadro di questo tipo si riflette, inevitabilmente, sull'agenda dei problemi da affrontare. Secondo i cittadini, le tematiche economiche sono, oggi, la priorità: aumento dei salari e delle pensioni, controllo dei prezzi, riduzione delle tasse. I ceti popolari indicano anzitutto l'incremento del reddito (52%) e la lotta all'inflazione (36%). Quest'ultimo punto è sentito in egual misura anche nel ceto medio. Più trasversale è la riduzione delle tasse.
Il sondaggio ha indagato infine, sugli orientamenti di voto delle categorie socio-professionali: risultati che disegnano un quadro in parte noto, in parte leggermente ridefinitosi rispetto alle precedenti consultazioni. Gli operai, in particolare, sono tornati a votare in maggioranza (come prima del 2006) per la coalizione che sostiene Berlusconi (46%), che mantiene, allo stesso tempo, un margine ampio in altri settori: fra i lavoratori autonomi e gli imprenditori (58%), innanzitutto, ma anche fra i liberi professionisti (54%) e le casalinghe (53%). Pdl e alleati risultano in vantaggio anche presso il ceto medio dipendente del settore privato (circa sei punti di scarto tra tecnici e impiegati), mentre i lavoratori del settore pubblico, secondo tradizione, si orientano maggiormente verso il Pd. La coalizione di Veltroni, infine, sopravanza lo schieramento avversario fra gli studenti (44%) e i pensionati (46%).
(Da oggi è disponibile il nuovo sito di Demos&Pi dove è possibile trovare i risultati e le analisi tratte dalle indagini svolte dall'istituto in ambito politico e sociale, su scale locale, nazionale e internazionale)
fonte: repubblica.it
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