giovedì 27 marzo 2008

Restare al lavoro dopo il licenziamento senza essere “cacciati” non integra revoca del licenziamento

Con sentenza del 13 marzo 2008, n. 6742, la sezione lavoro della Suprema Corte di Cassazione ha stabilito che non è necessaria la forma scritta per la revoca del licenziamento, ma sono sufficienti fatti concludenti da cui desumere la volontà del datore di porre nel nulla il recesso annunciato, eliminandone ogni effetto.
Per la Cassazione, solo il licenziamento richiede la forma scritta e, nel caso di specie, il dirigente licenziato non poteva invocare che l’essere restato nel proprio posto di lavoro per quindici giorni, senza essere stato “cacciato” dall’azienda dopo la lettera che gli comunicava il recesso, potesse fargli riconoscere la prosecuzione del rapporto per la ragione che non era stato validamente interrotto.
La Cassazione ricorda, però, che compete sempre al giudice di merito giudicare i comportamenti del datore e stabilire se siano stati concludenti a porre nel nulla il licenziamento intimato.

Fatto e diritto

Il dipendente con funzioni di dirigente responsabile operativo «dell'organizzazione e gestione della rete di vendita dei titoli di viaggio emessi» da un consorzio era ricorso al giudice in quanto licenziato in tronco.
Il dirigente eccepiva di avere continuato a prestare la sua attività sia dopo il primo che il secondo recesso effettuati nello stesso mese dall’azienda, quest'ultimo da qualificarsi come licenziamento orale.
Chiedeva, quindi, che fosse dichiarata la prosecuzione del rapporto di lavoro, perché mai interrotto, e, in subordine, la nullità del licenziamento orale con condanna dell'ente al pagamento delle retribuzioni maturate, ancora in via ulteriormente subordinata, la ingiustificatezza del licenziamento con condanna del convenuto al pagamento dell'indennità supplementare, oltre al risarcimento degli ulteriori danni.
Nella resistenza del Consorzio, il giudice adito accoglieva parzialmente la domanda, ritenendo ingiustificato il licenziamento e liquidando soltanto l'indennità supplementare nella misura massima di diciotto mensilità.
Tale sentenza era poi stata confermata dalla Corte di appello.
Nel rigettare l'impugnazione del dirigente, la Corte d’Appello aveva escluso che nel comportamento del Consorzio potesse ravvisarsi una revoca per fatti concludenti del recesso.
La Corte d’Appello aveva rilevato in proposito che, a fronte delle reiterate manifestazioni di volontà del Consorzio intese a risolvere il rapporto di lavoro con il dirigente, la presenza di costui sul posto di lavoro nell'assunto di svolgere le pregresse mansioni non integrava una condotta dell'ente inequivocabilmente diretta a porre nel nulla il precedente recesso, tanto più che il lasso di tempo in cui tale situazione si era procrastinata era limitato a quindici giorni e nel corso di questo periodo il Consorzio aveva manifestato l'opposizione ai tentativi del dirigente di continuare nell'attività lavorativa.
La Corte d’Appello aveva poi evidenziato che la mancanza di una tempestiva reazione del Consorzio, diretta ad impedire il protrarsi della suddetta situazione, trovava la sua spiegazione nell'avvicendamento verificatosi in quel periodo al vertice aziendali, con la sostituzione del presidente.
Il dirigente allora si è rivolto in Cassazione.

La decisione della Corte di Cassazione
Per la Cassazione, «il mero dato rappresentato dal fatto che nei giorni successivi al licenziamento anzidetto l'appellante poté continuare ad essere presente presso il posto di lavoro e a svolgervi attività corrispondenti alle pregresse mansioni assegnategli non è stato sufficiente a integrare una condotta di detto ente inequivocabilmente intesa a porre nel nulla il precedente atto di recesso ...«
Per quanto attiene alla revoca del licenziamento, questa non richiede la forma scritta, che va osservata per la intimazione del licenziamento, in considerazione del principio, più volte sottolineato dalla giurisprudenza dalla stessa Cassazione, in base al quale «i negozi risolutori degli effetti di atti richiedenti - come il licenziamento - la forma scritta non sono assoggettati ad identici requisiti formali in ragione dell'autonomia negoziale, di cui la libertà di forma costituisce, in mancanza di diversa prescrizione legale, significativa espressione» .
Però per la Cassazione è questa una valutazione di fatto come tale riservata al giudice di merito, che qui ha escluso una volontà del datore di lavoro diretta a revocare il licenziamento, supportandola con adeguate ragioni.
Del resto, a parte la reiterazione della intimazione del licenziamento, la quale, come osservato dal giudice del merito, di per sé denota una persistenza della determinazione di risolvere il rapporto di lavoro, la modifica dello statuto del Consorzio, con la «impossibilità di conservare nel proprio organico due figure dirigenziali ricoperte da persone estranee alle aziende partecipanti», addotta a motivo di risoluzione del rapporto di lavoro nelle due lettere di licenziamento inviate a distanza di pochi giorni l'una dall'altra, non avrebbe potuto consentire agli organi esecutivi del Consorzio di assumere una volontà diretta a revocare il recesso intimato.
La Corte di Cassazione ha così respinto il ricorso del dirigente di un consorzio ed il ritardo nella reazione del datore al fatto che il licenziato fosse restato al suo posto era stato dettato da un avvicendamento ai vertici del consorzio.
Però, dato che il licenziamento è stato ritenuto ingiustificato, al manager è stata liquidata l’indennità supplementare nella misura massima di diciotto mensilità.

Suprema Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza n. 6742 del 13 marzo 2008

fonte: newsfood.com

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