IL REPORT - Lo studio, discusso anche in occasione del World Conservation Congress di Barcellona, punta il dito soprattutto sull'eccesso di pesca, che ha portato a un depauperamento preoccupante dello stock ittico. Quest'ultimo a sua volta, oltre a determinare lo sfruttamento di tre quarti delle specie ittiche (e minacciare vere e proprie estinzioni, come nel caso del merluzzo), fa sì che, in presenza di meno pesci nei mari, i costi per catturarli e intercettarli crescano sensibilmente.
INEFFICIENZA - Inefficienza e scarso rispetto per l'ambiente sono dunque i peccati originali della pesca mondiale denunciati dalla Banca Mondiale e dalla Fao, che nella loro dettagliata analisi parlano anche della necessità di incentivi politici a una pesca sostenibile e razionale. Lo studio sottolinea uno stato disastrato dell'oceano (solo un quarto è rimasto in condizioni naturali) e una pesca non sufficientemente responsabile, anche a causa della cattiva e dilagante abitudine di pescare pesci di piccola taglia, talvolta persino privi di un valore commerciale, con un conseguente impoverimento delle specie e della diversità.
NON TUTTI BOCCIATI – Nell'allarme della Fao e della Banca Mondiale c'è anche qualche promosso, vale a dire nazioni che stanno invece seguendo in maniera più o meno ligia le giuste regole di una pesca sostenibile ed efficiente. Si tratta di Paesi come l'Australia, la Nuova Zelanda o l'Islanda. Anche in questo caso però, evidenzia il report, si può fare di più. Senza tralasciare l'importanza di una maggior selettività degli attrezzi di pesca. La conclusione, inquietante quanto per certi versi ottimista, è che se gli stock ittici fossero ricostituiti con metà delle energie odierne si potrebbe raggiungere lo stesso ammontare di pesce catturato.
fonte: corriere.it
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