I MOTIVI - Il professor Steve Jones sostiene che ci sono tre motivi per i quali non si registrano più importanti mutazioni genetiche: per la maggior parte della storia dell’uomo le condizioni di vita erano così dure sulla terra che la selezione naturale era forte, mentre ora con il progresso tecnologico, essere per esempio più temprati al freddo non aiuta. Poi, nell’era della globalizzazione, le popolazioni separate dal resto del mondo di fatto non esistono più. Terzo fattore, il più rilevante secondo gli scienziati dell’University College di London, è che ci sono pochi padri in età avanzata. «Nei maschi il numero di divisioni cellulari necessarie per arrivare da uno spermatogonio (precursore dello spermatozoo) fino alla formazione di uno spermatozoo maturo cresce con il passare degli anni. Ogni volta che c’è una divisione c’è la possibilità di un errore, di una mutazione. Per un uomo di 29 anni si verificano circa 300 divisioni tra lo sperma che lo ha generato e quello e quello che passa al figlio: ogni divisione crea un’opportunità di errore, mutazione ed evoluzione». Il genetista inglese ha fatto l’esempio del genitore di 29 anni non a caso: è l’età media in cui si diventa padre in Occidente. «Per un genitore di 50 anni invece, il numero di divisioni è superiore a mille: perciò aumentano le possibilità di mutazioni».
IL SULTANO - Il professor Jones cita il caso un po’ mitico di Moulay Ismail, sultano del Marocco, che nel Diciottesimo secolo avrebbe avuto 888 figli, contribuendo non poco all’evoluzione. Fatti i conti avrebbe dovuto giacersi con 1.2 donne ogni giorno per 60 anni (ma questa è un’altra storia di cui in caso si potrebbero occupare i sessuologi). In conclusione: padri più giovani uguale niente più evoluzione e quindi niente superuomo, ma anche niente minus habens incollato a un telecomando e incapace di altro.
fonte: corriere.it
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