Benvenuti, allora, nel cuore di tenebra d'Italia. Nella Regione dell'emergenza rifiuti urbani, così come del business sempre più prospero di rifiuti nocivi; delle ecoballe intrattabili (troppo piene di sostanze tossiche per poter essere incenerite) accumulate in 35 milioni di metri quadrati di spazio; dei campi rom costruti sulle discariche illecite della camorra; dei cittadini che sanno di essere probabilmente condannati a morte prematura; di quelli che si rassegnano, e di quelli che combattono con un'energia e una competenza inesauribili. Benvenuti, insomma, nel triangolo della morte - Villaricca/Giugliano/Acerra, nell'hinterland partenopeo - raccontato in un documentario giù cult: Biùtiful cauntri. Pronuncia all'inglese, e ortografia italiana, per nominare il Belpaese. Il nostro. Dove tutto questo accade.
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Scritto e diretto dalla montatrice Esmeralda Calabria, dal regista Andrea D'Ambrosio e dall'esperto di Legambiente Peppe Ruggiero, presentato con successo al Festival di Torino targato Nanni Moretti (ottenendo una menzione speciale), definito da Roberto Saviano uno strumento utilissimo per comprendere il disastro campano, il docufilm approda adesso nelle nostre sale. Grazie alla volontà di rischiare del produttore Lionello Cerri, e sull'onda dell'attualità - basta pensare al recentissimo rinvio a giudizio di Antonio Bassolino.
Risultato: un film potente, intenso e sconvolgente. Da vedere, in primo luogo, per essere informati su una situazione così grave. Negli 83 minuti di pellicola, infatti, anche uno spettatore non particolarmente addentro alla vicenda può capire vastità e cause dell'emergenza. Il fallimento totale del ciclo dei rifiuti, con la società vincitrice d'appalto nella Regione (l'Impregilo della famiglia Romiti) che non ha saputo creare impianti a norma, e si è limitata a confezionare ecoballe. Ora accumulate a Giugliano, a poca distanza dai piccoli coltivatori di fragole e alberi da frutta.
E poi c'è il fiorire del business della camorra, con le oltre 1.200 discariche abusive (e sono solo quelle censite), tutte stracolme di rifiuti tossico-nocivi. Ci sono ad Acerra (dove a complicare la situazione ci sono anche i danni provocati da un ex stabilimento Montefibre), a un passo dagli allevatori di bestiame; a Villaricca, accanto alla discarica legale (poi chiusa perché non a norma); a Lago Patria, dove pascolano le bufale della celebre mozzarella. Il film fa ascoltare anche alcune intercettazioni telefoniche, in cui si sentono intermediari delle imprese del centronord che si mettono daccordo con gli imprenditori della camorra, per i trasporti e lo scarico di camion con rifiuti tossici: trasformando questa e altre aree campane nella cloaca d'Italia.
Ma non c'è solo l'aspetto di informazione, a rendere unico Biùtiful Cauntri. A colpire lo spettatore sono, ancora di più, i volti e le voci delle vittime di questa catastrofe ambientale: gli allevatori, che piangono guardando le loro pecore abbattute; i bambini di un grande campo rom, che vivono letteralmente tra i rifiuti (come i loro coetanei africani che si vedono in un altro documentario attualmente nelle sale, Forse Dio è malato); e cittadini-eroi come l'educatore ambientale Raffaele Del Giudice. Un uomo che non si arrende, che denuncia continuamente discariche illegali e impianti legali non a norma. E che oggi, alla conferenza stampa di presentazione del film, ricorda anche le minacce della camorra: "Non quelle de visu, ma nell'aria che si respira, nel recinto in cui ti chiudono".
Eppure, al di là della scontata immoralità e capacità di uccidere della criminalità organizzata, a colpire di più sono altri due aspetti. Primo: la follia delle imprese che pur di risparmiare accettano di smaltire in questo modo i loro scarti. Secondo, la totale assenza o la colpevole incompetenza delle istituzioni: "Quando funzionari dello Stato o autorità dicono lì non si muore di diossina - dichiara Andrea D'Ambrosio, uno dei registi - commettono un vero e proprio delitto. Un atto di terrorismo". Tutte cose che accadono in questa Italia 2008, "non solo in Africa", come sottolinea Peppe Ruggiero. In un'Italia che forse, come spiega la Calabria, "i nostri registi, e non solo quelli di documentari, dovrebbero provare a raccontare un po' di più".
fonte: repubblica.it
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