Con sentenza del 14 febbraio 2008, n. 3520, la sezione III civile della Corte di Cassazione ha chiarito che il medico ha sempre l'onere di dimostrare l'assenza della sua responsabilità se, dall’esercizio della sua professione medica, ha cagionato danni a qualche degente.
Per la Cassazione la prova della mancanza di colpa spetta sempre al medici, mentre sul paziente grava solo l’onere di dimostrare l’aver intrattenuto un rapporto contrattuale con il professionista e che questo ha effettuato l’intervento che ha cagionato il risultato negativo conseguito.
Fatto e diritto
Un paziente aveva citato in giudizio il suo odontoiatra per il risarcimento dei danni (morali e materiali) subiti in conseguenza di una prestazione professionale eseguita con imperizia.
Il dentista negava qualsivoglia colpa professionale, precisando che la pretesa inidoneità della protesi da lui applicata al cliente era conseguenza esclusiva del negligente atteggiamento di quest'ultimo, che aveva disertato più di un appuntamento. Del tutto legittimamente, pertanto, egli aveva trattenuto gli acconti ricevuti (trattandosi di somme corrisposte anche in relazione a prestazioni professionali rese in favore di alcuni congiunti dell'attore), mentre non gli era ancora stato versato il residuo corrispettivo per le prestazioni professionali eseguite (delle quali egli chiederà in via riconvenzionale la corresponsione).
Il giudice di primo grado accoglieva la domanda principale.
La decisione della Corte d’Appello
La Corte di Appello, investita dell'impugnazione proposta dal professionista, accoglieva le osservazioni del dentista, facendo presente che il giudice di primo grado si era limitato solo ad ascoltare alcuni testimoni, senza aver fatto ricorso ad una (pur indispensabile) consulenza tecnica che confermasse la colpa professionale ed aveva così liquidato il danno biologico temporaneo senza alcun riscontro, possibile solo attraverso perizia medico-legale.
Inoltre la Corte d’Appello aveva contestato al paziente di aver ritardato l'applicazione della protesi dentaria dopo avergli estratto tre denti: questa condotta, infatti, era etiologicamente connessa all'inevitabile rigetto dell'opus protesico, applicato dopo ben sette mesi e dimostrava la colpa professionale del dentista.
Per la Corte d’appello, infine, sarebbe stata indispensabile una perizia per valutare l'idoneità stessa della protesi e quantificare i danni biologici, ma l’attore non l’aveva mai richiesta, neppure allegando una documentazione medica esaustiva o una perizia di parte.
Il paziente allora ha proposto ricorso in Cassazione.
La decisione della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha chiarito che il medico ha sempre l'onere di dimostrare l'assenza della sua responsabilità se, con l’esercizio della professione medica, ha cagionato danni a qualche degente.
Sul paziente, invece, grava solo l’onere di dimostrare il rapporto contrattuale con il professionista e la riferibilità a quest'ultimo dell'intervento, allegando il risultato negativo conseguito.
Per la Cassazione, la colpa ascrivibile al dentista va individuata proprio nel fatto dell'aver impiantato la protesi nonostante l'eccessivo lasso di tempo trascorso desse certezza del fallimento di tale operazione (a nulla rilevando, in proposito, che il paziente avesse o meno disertato gli appuntamenti): il comportamento dello specialista si era, pertanto, sostanziato in un vero e proprio errore tecnico dovuto ad imperizia.
La prestazione del medico non poteva, inoltre, dirsi esaurita con la mera esecuzione dell'intervento odontoiatrico, poichè il dentista era soggetto ad un ulteriore obbligo di vigilanza, scandito nel tempo dalle vicende successive all'intervento e riconducibile alla generale figura degli obblighi di protezione (art. 1175 c.c.), gravitanti nell'orbita della prestazione principale onde evitare la verificazione di eventi funzionali ad incidere negativamente sulla felice attuazione del programma terapeutico.
Suprema Corte di Cassazione, sezione terza civile, sentenza n. 3520 del 14 febbraio 2008
fonte: newsfood.com
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lunedì 10 marzo 2008
Colpa professionale: il medico ha sempre l'onere di dimostrarne l'assenza
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